L’inizio di settembre è coinciso con la riapertura della stagione venatoria in tutta Italia; Osvaldo Veneziano, presidente nazionale dell’Arci Caccia, fornisce un’analisi dettagliata sul mondo della caccia.
Quanti sono i cacciatori nel nostro Paese e quanti di questi hanno aderito alla vostra associazione?
Attualmente in Italia ci sono circa 700-750mila cacciatori, di cui 82mila sono soci dell’Arci Caccia, in percentuali diverse fra le varie regioni e zone d’Italia.
In quali regioni possiamo contare il maggior numero di cacciatori?
Senza ombra di dubbio in Toscana e Lombardia dove i cacciatori contano un numero variabile dai 60 agli 80mila anche se il primato spetta senz’altro all’Umbria che vede interessato al mondo venatorio ben il 5% della popolazione.
Qual è lo stato di salute del vostro movimento?
Sono essenzialmente due i processi che caratterizzano la nostra associazione e tutto il mondo venatorio in generale. Si tratta di elementi collegati fra loro che destano qualche preoccupazione: un forte invecchiamento del corpo sociale dovuto ad un allontanamento progressivo delle nuove generazioni dalla passione per la caccia. Questo non può distoglierci da qualche riflessione per il futuro; è necessaria, infatti, una valorizzazione del settore venatorio inteso come rispetto per le norme e l’ambiente. La Toscana, e il territorio senese in particolar modo, rappresentano forse l’esempio da seguire dal momento che qui la caccia è concepita come settore importante da rivalutare attraverso una buona gestione delle aree interessate. E’ necessario pertanto abbandonare un’idea nostalgica della caccia e inseguire invece la possibile convivenza fra il mondo venatorio, quello ambientale e quello agricolo.
Qual è pertanto la figura del cacciatore tipo?
Bisogna fare una distinzione: nel meridione si ama molto di più cacciare la selvaggina migratoria mentre nell’Italia centrosettentrionale si predilige la caccia alla selvaggina stanziale; si può dire che il Lazio rappresenta la zona dove le due culture di caccia s’intrecciano. Bisogna aggiungere che l’aumento della vivibilità nei centri urbani è andata a discapito di tutto il mondo della caccia. Molti ex cacciatori che sono passati dalla campagna alla città hanno abbandonato la propria passione senza riuscire a trasmetterla ai più giovani. Un elemento nuovo, inoltre, sta prendendo piede in numerose zone d’Italia: la caccia corporativa, o di squadra, tipo quella al cinghiale.
Una situazione normativa, quella italiana, che non riesce a far fronte alle puntuali polemiche che tutti gli anni si presentano al via del calendario venatorio. Qual è il suo parere?
La mia posizione è di totale difesa delle norme vigenti perché sono state il frutto del compromesso fra noi, il mondo agricolo e quello ambientale. L’unico aspetto su cui bisogna muoversi unitariamente è escogitare un metodo migliore per produrre una maggiore e più efficace applicazione delle norme vigenti.
Presidente dell’Arci Caccia ma anche semplice appassionato della caccia, qual è il suo rapporto con l’ambiente e la fauna?
Da quando ho ottenuto la licenza non ho mai smesso di cacciare; sono nato in una realtà, quella senese, dove la caccia ha sempre avuto una grande importanza. Ciò che comunque mi guida in questa mia passione è un forte senso del limite ed un profondo rispetto delle leggi e dell’ambiente. Vivo la caccia così come la predico ed ho un forte legame con il cane ogni qualvolta esco per una battuta. E questa mia concezione della caccia riflette in tutto e per tutto il mio impegno alla direzione dell’associazione.
Nella foto Osvaldo Veneziano