Bere il vino degli etruschi? In teoria sarà possibile, in pratica molto meno, perché un progetto di così lunga durata prevede risorse al momento assenti. Intanto l’associazione nazionale Città del Vino, con il dipartimento di archeologia e storia delle arti dell’Università di Siena e i dipartimenti di biologia dell’Università di Milano, hanno messo in piedi il progetto Vinum (con già un anno di ricerca alle spalle), finanziato dalla Fondazione Monte dei Paschi, un’indagine sul riconoscimento di genotipi della vite silvestre nel paesaggio archeologico della Toscana e del Lazio settentrionale. "Vinum è un importante progetto, ed anche un prezioso volume, che mette in rete competenze qualificate in un’ottica multidisciplinare – ha spiegato alla presentazione di ieri Paolo Benvenuti, direttore delle Città del Vino -. L’intento è quello di scoprire e fare chiarezza sull’archeologia della vite in Toscana e nel Lazio settentrionale, risalendo alle sue origini. Questo ci potrebbe consentire di ricreare in alcune località un ambiente vitivinicolo antico, di chiara matrice estrusca". Il progetto "particolarmente interessante" come lo ha definito Luca Bonechi della Fondazione Mps, si pone l’obiettivo di rintracciare i progenitori autoctoni degli attuali vitigni; ampliare e diffondere la conoscenza storica del patrimonio vitivinicolo italiano e in particolare quello senese; di individuere la sopravvivenza di “vitigni reliquia” in prossimità di aree archeologiche per contribuire alla tutela della variabilità del patrimonio genetico dei vitigni antichi, e, integrare le metodologie della botanica con quelle dell’archeologia del paesaggio, tradizionalmente separate, per creare nuovi indirizzi e applicazioni di ricerca. "L’unica strada per un futuro della nostra viticoltura – ha aggiunto Benvenuti – è proprio la valorizzazione del “diverso” quindi vitigni autoctoni e sviluppo della conoscenza". E’ curioso sapere che già tremila anni fa si consumava vino nell’area senese, e che fra il VII e il VI secolo avanti Cristo nella zona di Murlo, ci fossero esempi di impianti di vite selvatica. "Vinum – ha detto Attilio Scienza dell’Università di Milano – è anche uno strumento utile per le aziende di vino, per andare incontro alle esigenze dei consumatori. La vite silvestre può rappresentare una risorsa straordinaria per capire le origini della vite". "Possiamo così dare una patente storica alle nostre produzioni vitivinicole – ha aggiunto Andrea Zifferaro dell’Università di Siena -, e risposte alla documentazione di una aspetto commerciale degli etruschi, il vino". E nell’occasione è stata costituita l’”Associazione italiana di storia e archeologia della vite e del vino” con l’obiettivo di riunire tutte le esperienze simili in un unico contenitore.
Lorenzo Benocci
Nella foto: la sopravvivenza della vite silvestre nella necropoli di Puntone a Saturnia (Gr). Foto "Vinum"-Ci.Vin