Paesaggio toscano addio? Come cambieranno i panorami più celebri al mondo se dovesse prendere campo – è proprio il caso di dirlo – il nuovo modello di olivicoltura superintensiva, già molto diffuso nelle aree del Mediterrano che prevede l’impianto di 1500/2000 olivi per ettaro, rispetto ai 150/170 olivi che in media troviamo oggi nei nostri oliveti? Il Consorzio Agrario di Siena ha deciso di studiare questo nuovo tipo di olivicoltura nel corso di un incontro organizzato sul tema per approfondire le nuove tecniche olivicole e valutarne le prospettive di applicazione sul territorio. L’obiettivo? “Quello di offrire nuove opportunità agli agricoltori in un momento in cui la nuova riforma della Pac ha modificato gli scenari produttivi – ha sottolineato Pietro Pagliuca, direttore del Consorzio Agrario -; il tutto però, tenendo ben presente l’importanza ambientale e produttiva della nostra olivicoltura tradizionale che ci fa grandi nel mondo. Dunque – ha detto Pagliuca – lungi dal voler cambiare l’olivicoltura tradizionale toscana l’intento del Consorzio è invece quello di anticipare e supportare le scelte degli agricoltori anche in questo settore, individuando le soluzioni ottimali per fare reddito ed essere competitivi sul mercato, salvaguardando però le caratteristiche ambientali e la qualità dell’olio toscano”. Il tema è stato affrontato a partire dall’esperienza spagnola con il contributo della società Agromillora Catalana, azienda vivaistica specializzata nella produzione di varietà di olivo adatte a condizioni superintensive.
Olivicoltura superintensiva, dunque, come sinonimo di efficienza produttiva, di risparmio in termini di manodopera ma anche di qualità del prodotto: completamente meccanizzata la raccolta, effettuata con macchine vendemmiatrici, ma anche la potatura e tutte le pratiche colturali. E dalla Spagna parlano anche di ottima qualità dell’olio. “L’olivicoltura superintensiva – ha spiegato Jordi Mateu della Agromillora Catalana – prevede l’impianto di 1500/2000 piante per ettaro, con una resa di 90/100 quintali di olive a ettaro all’anno, a fronte dei circa 40 quintali dell’olivicoltura tradizionale, con bassi costi di produzione e un prodotto di ottima qualità. Certo – sottolinea ancora Mateu – l’agricoltore che intenda convertirsi a questo tipo di coltura dovrà fare i conti con un investimento iniziale superiore di 3-4 volte rispetto a quello richiesto dal metodo tradizionale, ma le cultivar adatte all’olivicoltura superintensiva sono già produttive al terzo anno e il quinto sono in piena produzione. La meccanizzazione, poi, abbatte notevolmente i costi di raccolta, che è rapida e consente di giungere al frantoio in tempi molto ristretti, a tutto vantaggio della qualità dell’olio. Le cultivar che si adattano a queste densità di impianto non sono molte – ha spiegato ancora Mateu: la arbequina, la più adatta al microclima toscano, la arbosana, perfetta per il sud, e la koroneiki, di origine greca ma non adatta alle latitudini toscane perché poco resistente al freddo”.
Brunetta Gatti
Nella foto: vista su Firenze da un oliveto. Sarà ancora così nel futuro?