Nelle tavole degli italiani è il pesce fresco il “re nel piatto” con un consumo che nel 2006 si è attestato sulle oltre 241mila tonnellate, per una spesa complessiva di oltre 2 miliardi di euro. A rivelarlo un’indagine di Ismea/ACNielsen i cui dati salgono all’attenzione di pubblico e media in occasione della terza edizione di Slow Fish a Genova. Secondo l’osservatorio sui consumi domestici il pesce di mare ha costituito il 55,6% del prodotto fresco; a seguire molluschi (25,12%) e pesci d’acqua dolce (13,77%); fanalino di coda i crostacei con il 5,9%.
A guidare la classifica i consumi di orate, notevolmente aumentati sia in termini di volumi (+1089 tonnellate rispetto al 2005) che in termini economici (oltre 16 milioni di euro). Seguono le alici che, a fronte di un lieve aumento in volume (+180 tonnellate), hanno determinato una crescita in valore di oltre 7 milioni di euro. Di rilievo anche i dati relativi alle spigole con 14 648 tonnellate e un peso sul mercato di 134 milioni di euro. Queste tre specie costituiscono insieme il 38,21% dei consumi domestici di pesce fresco; mentre si supera il 50% aggiungendo merluzzi e pesce spada.
Tra i pesci di acqua dolce, la più acquistata è la trota salmonata (11 197 tonnellate per 86 milioni di euro), mentre si è registrato un balzo in avanti nelle vendite di salmone (da quasi 64 milioni di euro del 2005 a 79 dello scorso anno).
In ribasso i molluschi che hanno registrato una riduzione in volume di oltre 800 tonnellate e quasi 24 milioni di euro. A determinare la diminuzione, il calo dei consumi di mitili, vongole e seppie, contrastato in parte dagli aumenti di calamari (+284 tonnellate corrispondenti a una crescita di 8 milioni di euro) e polpi (+617 tonnellate per 11 milioni di euro in valore). Riguardo ai crostacei, infine, da rilevare il calo nelle quantità vendute (da 13 443 a 13 826) cui però è corrisposta una crescita in termini di valore di oltre 8 milioni di euro.
Cristian Lamorte