"…chista e’ na’ storia / d’un pisci spada / storia d’amuri …te pigghiara la fimminedda / drittu, drittu intra lu cori… e la varca la strascinava… e lu sangu ni curria e lu masculu chiancia… e lu masculu parria ‘mpazzutu… rispunnia la fimminedda cu nu filo e filo e’ vuci / scappa, scappa ammuri miu ca’ si no t’accitinu…” sono alcune delle parole della celebre canzone di Domenico Modugno, ‘U Pisci Spada’, ovvero il pianto più amaro, lo strazio del cuore nel distacco atroce, che dipinge l’antica pratica di pesca del pesce spada diffusa in particolare nello stretto di Messina, tra i venti di Scilla e i vortici di Cariddi.
Qui Ulisse smarrì una parte della ciurma ingoiata dal mostro Cariddi, qui nasce la leggenda del pescatore Colapesce condannato a reggere una delle tre colonne sommerse dell’isola. Qui si materializza il mito della Fata Morgana e il mito di Scilla e Cariddi raccontato da Omero e da Virgilio, qui si rinnova ogni anno il rito millenario della pesca del pescespada.
In questo lembo di mare, infatti, le ‘feluche’ (7 a Ganzirri/Torre Faro e 5 a Reggio Calabria), le suggestive barche dall’insolita sagoma, fendono ancora oggi le cristalline acque, mentre dalla cima dell’albero centrale l’avvistatore, chiamato in dialetto ‘ntinneri scruta lo spazio circostante della posta assegnategli nella speranza di intravedere la sagoma del pescespada. La tranquilla attesa dell’equipaggio è rotta all’improvviso dall’avvistamento dell’animale, che ignaro del suo fatale destino, nuota pigramente cullando il suo sogno d’amore. Inseguito dall’imbarcazione e, non appena sotto tiro, dalla passerella della feluca, il ‘lanzaturi’ (lanciatore) lancia l’arpione nella speranza che il mortale attrezzo penetri nella preda, rinnovando un rito millenario che gli antichi pescatori messinesi salutavano con una formula magica.
Dal mese di aprile, fino ai primi giorni di giugno, il pescespada arriva nello stretto di Messina, costeggiando la Calabria tirrenica meridionale, dove le acque si scaldano prima che altrove. Dopo il periodo di riproduzione, tra giugno e luglio, torna verso nord, lungo la costa messinese. Non a caso la caccia inizia da metà aprile fino a giugno sulla costa calabra e da luglio a settembre sulla sponda siciliana.
In questi mesi dal mare si sentono arrivare le voci dei pescatori: “Va iusu, tuttu paru camora. Va susu, voca fora, voca nterra!” (Verso sopra, sempre dritto per adesso. Verso sopra, rema verso il mare aperto, rema verso terra!) che a bordo delle loro feluche inseguono il prelibato animale, piccola fonte di ricchezza dell’economia locale.
Per sottoporre ai riflettori dei media, degli addetti ai lavori e del mondo politico l’importanza di una tradizione da tutelare e rilanciare, andando incontro alle crescenti problematiche degli ultimi pescatori di pescespada di Ganzirri e di Capo Peloro, dallo scorso mese di gennaio è attiva l’associazione Pescatori dello Stretto, con già 40 aderenti, che unisce idealmente Scilla e Cariddi con l’obiettivo di far fronte al futuro ed alle molte problematiche legate alla vita in mare.
Unitamente a ciò, nei primi giorni di luglio, la città di Messina ha ospitato ‘Spaday’, una rassegna finalizzata alla valorizzazione della pesca del pesce spada e del suo consumo.
“Capo Faro è come un campo magnetico, un luogo che sprigiona energia: io che mi definisco un cuciniere errante, mi sorprendo di continuo per la sua bellezza” ha affermato Carmelo Chiaramonte, noto chef siciliano nel corso della serata di gala di Spaday, che con la sua genialità elabora una cucina antica eppure innovativa, sublimata in tante prelibate pietanze, come la ghiotta di pesce spada tratta dalle ricette dei pescatori di Ganzirri.
Messina è per i siciliani un luogo di passaggio che ha invece una straordinaria identità legata ai profumi della terra e del mare, un luogo quello dello Stretto dove si rinnova ancor oggi l’antico rito millenario della pesca, quando i pescatori salutavano e salutano con una formula magica il passaggio in cui il pesce spada è in amore, il maschio accanto alla femmina, nel tentativo di ipnotizzarli e meglio arpionarli.
Claudio Zeni