Si chiamano anche razze ‘reliquia’ e il termine la dice lunga sullo stato in cui versano molte di loro, in termini di consistenza di capi e di numero di allevamenti in cui sono presenti. Sono tutte a rischio estinzione, più o meno grave, ma comunque necessitano di un’attenzione particolare, anche perché rappresentano un patrimonio di inestimabile valore per la zootecnia: basti pensare ai capi su cui può contare la bovina Pontremolese, 24 distribuiti su due allevamenti, o la razza ovina Garfagnina Bianca, i cui 5 allevamenti dispongono di 216 capi di cui 123 femmine adulte, 79 agnelle e 14 maschi.
Di sei di queste razze (tre bovine, Garfagnina, Pontremolese e Calvana, e tre ovine, Garfagnina Bianca, Pomarancina e Zerasca) si è parlato nel corso di un convegno organizzato da Arsia, tenutosi al Centro ‘E. Avanzi’ dell’Università di Pisa, nel corso del quale sono stati presentati i risultati del progetto di ricerca che l’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricolo e forestale, ha promosso nel 2004 tramite bando pubblico. La ricerca, coordinata dal Dipartimento di agronomia e gestione dell’agroecosistema dell’Università di Pisa, aveva l’obiettivo di individuare strategie di difesa, salvaguardia e sviluppo di queste razze autoctone toscane, attraverso la definizione di percorsi specifici di valorizzazione delle produzioni, a partire dalla situazione attuale (in termini di consistenza dei capi, ubicazione degli allevamenti, caratteristiche dei sistemi di allevamento), lo studio della popolazione dal punto di vista genetico e l’individuazione dei riproduttori per incrementare la variabilità genetica della popolazione. "Dai risultati della ricerca – sottolinea Maria Grazia Mammuccini, amministratore Arsia – emerge un vero e proprio ‘segnale di allarme’ per alcune di queste razze in particolare, come la bovina Pontremolese e la Garfagnina Bianca, tra gli ovini, per le quali c’è l’urgenza di attivare iniziative straordinarie per evitarne la scomparsa. In questo senso – precisa – il nuovo PSR prevede una specifica misura relativa alla conservazione di risorse genetiche animali che, fra l’altro, vede il passaggio del contributo a capo da 200 a 400 euro per la razza Pontremolese, per l’equina Monterufolino, e per le ovine Pomarancina e Garfagnina Bianca. Per tutte le altre razze autoctone toscane, poi – conclude Mammuccini – occorre organizzare processi di filiera corta: è dimostrato, infatti, che questi percorsi sono in grado di disinnescare il rischio estinzione, come è avvenuto, ad esempio, per la razza Zerasca per la quale già da alcuni anni è avviata un’iniziativa di recupero e valorizzazione della produzione di carne e sottoprodotti che ha permesso agli allevatori di consolidare l’attività".
In estrema sintesi, dai risultati della ricerca emerge come la situazione di queste razze a rischio estinzione sia differenziata in base alla consistenza dei capi allevati, e alla possibilità di avere sbocchi di mercato e poter rappresentare, dunque, una fonte di reddito competitiva rispetto all’allevamento di razze non autoctone, dato anche il fondamentale impegno profuso dagli allevatori di queste razze a rischio.
Ancora situazione a rischio estinzione per le razze bovine Pontremolese (24 capi in 2 allevamenti) e Garfagnina (194 capi in 18 allevamenti), anche se la qualità delle carni è in entrambi i casi apprezzabile; uno stato più positivo si registra per la Calvana (529 capi in 19 allevamenti), dato che è stata costituita un’organizzazione di filiera che consente ai produttori di spuntare sul mercato prezzi competitivi non solo con quelli di altre razze da carne, ma anche con quelli della Chianina. Per gli ovini va invece distinta la situazione della Pomarancina e della Zerasca, da quella della Garfagnina bianca: la Pomarancina (688 capi in 13 allevamenti, di cui due a indirizzo biologico) è stata oggetto di recente di un’iniziativa di valorizzazione della produzione di agnello da parte dell’Associazione Provinciale Allevatori di Pisa, con l’istituzione di un marchio collettivo privato che sta riscuotendo un discreto successo, sia per le adesioni degli allevatori, sia per il mercato locale. Le analisi qualitative condotte dalla ricerca hanno inoltre evidenziato che la carne della Pomarancina ha un contenuto di acidi grassi insaturi (quelli ‘buoni’ per la salute) superiore a quelli saturi e contenuto di colesterolo molto basso. Per la Zerasca, come detto, è in atto in questi ultimi anni un’importante iniziativa di recupero e valorizzazione, mentre è fortemente a rischio la situazione della Garfagnina Bianca, con 216 capi allevati in 5 allevamenti. Dalla ricerca emerge, fra l’altro, che gli agnelli di questa razza danno rese alla macellazione piuttosto buone, superiori alle razze da latte e solo di poco inferiori a quelle delle razze specializzate da carne; inoltre, sul piano della qualità, 100 grammi di carne di Garfagnina Bianca apportano una quantità di acidi grassi insaturi maggiore rispetto a quella di saturi e anche il contenuto di colesterolo totale è piuttosto basso, paragonabile a quello di carni bovine molto apprezzate da questo punto di vista come quelle della razza Chianina.
L’impegno della Regione per la salvaguardia delle razze autoctone toscane, attraverso l’attività dell’Arsia, prosegue: è del 2006, ad esempio, un bando di ricerca per la caratterizzazione, il recupero produttivo e valorizzazione di razze equine autoctone toscane che riguarda il cavallo maremmano, il cavallino di Monterufoli e l’asino dell’Amiata; mentre quest’anno è stato avviato un progetto per il recupero della popolazione caprina autoctona Garfagnina, con l’obiettivo di completare l’attività scientifica di caratterizzazione delle razze autoctone inserite nel Repertorio regionale. Anche in questi casi, alla conclusione dei progetti, sarà cura dell’Arsia presentare i risultati delle ricerche.
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