Negli ultimi dieci anni la quota dell’Italia nel commercio agroalimentare mondiale è passata dal 2,8% al 3,1% posizionando il nostro paese al decimo posto nella graduatoria internazionali dei Pesi esportatori. Un dato che fa emergere una crescita nei valori dei nostri prodotti agroalimentari esportati del +72 per cento, contro una media mondiale del +58 per cento, ma che però ha visto crescere a ritmi superiori a quelli italiani, le produzioni di Brasile, Cina, Germania e Spagna. Chi va peggio? Di sicuro gli Stati Uniti che dal 1997 al 2006 hanno visto diminuire la loro quota di mercato dal 13% a meno del 10%.
E’ uno spaccato della fotografia scattata da Nomisma, quest’oggi a Fireagricola, con l’XI rapporto sull’agricoltura italiana.
I principali comparti dell’agroalimentare tricolore sono vino, ortofrutta fresca e trasformata e olio d’oliva. Ma con posizionamenti competitivi differenti, in primis sui prezzi.
Il vino pesa per oltre il 14 per cento sull’export agroalimentare, il prezzo medio di vendita all’estero è inferiore a quello mondiale, sostenuto in particolare dalle esportazioni francesi. Ma negli ultimi 10 anni c’è un riposizionamento sulla qualità: nel ’95 la quota di vino italiano esportato con un prezzo superiore a quello modnaile era solo il 17%, nel 2006 la quota è del 27%. La Francia invece è calata dal 50% al 46%. Per l’ortofrutta fresca invece subiamo la pressione del principale concorrente, la Spagna. Negli ultimi 10 anni il paese iberico ha fatto registrare un più 300% nell’export di pesche e nettarine, per un valore di export del prodotto passato da 119 a 478 milioni di euro; mentre i 308 milioni di euro dell’Italia del 2006, valgono un +4% rispetto al 1995.
LB-CP
n. 6/anno VIII/8 febbraio 2008