La Toscana si divide sul “bello e sul brutto” e intanto perde pezzi per strada. Da mesi e mesi le agende della politica e delle istituzioni hanno come argomenti solo le sfide estetiche del futuro, tra chi vuole mantenere la Toscana per quello che è stata e chi invece prova faticosamente a disegnare nuovi scenari. Con scarse possibilità che si possa arrivare ad una qualche efficace sintesi. Rimangono sul tappeto i resti di uno scontro che non provoca nulla di buono: cosa resterà degli psico-dibattiti su belli/brutti “ecomostri”, su belli/brutti nuovi tracciati stradali e ferroviari (Aurelia, Alta Velocità e altri), su belle/brutte “Tranvie”, belli/brutti aeroporti e cave? Mentre lentamente il nostro sistema economico e produttivo si sta sfaldando. E nessuno su questo ha il coraggio di prender posizione, se non per difese di ufficio. Dov’è Asor Rosa e i suoi comitati della bellezza quando c’è da difendere le centinaia di posti di lavoro che vengono perduti? Dove sono i comitati territoriali del no che difendono l’ambiente se poi nessuno vi abiterà più perché non c’è più lavoro? Non sarebbe il caso di arrestare questa logica di scontro su tutto e a ogni costo e interrogarsi sulle reali priorità di cui ha bisogno questa regione? Non è questa una terra per soli pensionati, per chi la sceglie per il suo buen retiro né per chi vive di rendite finanziarie e patrimoniali. È da sempre una terra che, grazie al sacrificio di lavoratori e le lavoratrici, ha saputo mantenere il corretto equilibrio tra le ragioni dell’ambiente dello sviluppo. Ieri come oggi. Ieri quando per vivere si cavava il marmo nella cave di Carrara o il travertino a Rapolano Terme, deturpando montagne e colline, o si impiantavano fabbriche di concerie o di carta lungo l’Arno. Oggi, in nome del bello che qualcuno pretenderebbe fosse statico (come amava l’esteta Dorian Gray?), tutto questo sarebbe proibito. Ma è grazie anche a quei lavori e a quelle trasformazioni se oggi la Toscana è quello che è: una terra conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, in cui piacerebbe vivere e lavorare. Ecco, non perdiamo le occasioni che si possa continuare a lavorarci.
n. 7/anno VIII/15 febbraio 2008