“Il mio obiettivo? Aprire un ristorante”. Lo dice Marta 23enne piacentina laureata con il massimo dei voti nel luglio scorso in Scienze gastronomiche alla facoltà di Agraria di Parma. Sara tarantina di 22 anni, ha invece ereditato la passione per la cucina dal padre che è il cuoco di casa. “Dopo la laurea ho fatto il tirocinio presso la Barilla, nel reparto di ricerca e sviluppo, conducendo un progetto di analisi chimiche e fisiche sulla pasta". Anche lei, come molti altri giovani usciti da Scienze gastronomiche all’Università di Parma, è davvero entusiasta dell’esperienza vissuta e della scelta fatta. Per loro si prospetta un futuro radioso nei molteplici ambiti di questo settore affascinante e gustoso, dalla comunicazione ai fornelli. E per un giorno gli studenti sono saliti in cattedra, per parlare del loro lavoro. E’ successo al Cibus, fiera in corso a Parma, dove dagli stessi studenti è stata presentata un’indagine sul corso di laurea da cui sono emerse molte curiosità e spunti di interesse. L’appuntamento è stato presentato da Marzia Morganti Tempestini, giornalista toscana e docente dello corso, insieme al collega Palo Marchi de Il Giornale; presenti anche la preside della facoltà di Agraria Rosangela Marchelli e ospiti d’eccezione, il duo di Decanter, la trasmissione di Radio 2 Rai, Federico Quaranta e l’Inutile Tinto.
L’identikit dello studente del gusto – Perché fare Scienze gastronomiche? Per uno studente su due per l’interesse e la passione nell’enogastronomia, mentre per il 28% perché si tratta di una facoltà innovativa e che forma una figura professionale nuova. Il 71% degli iscritti proviene dal Nord Italia, ma non sono pochi quel 16 per cento che dal Meridione scelgono Parma per diventare dei gourmet modello. Il 45% poi proviene dall’istituto alberghiero mentre con il 17% il Liceo scientifico è le seconda scuola superiore di provenienza. Variegata poi l’aspettativa lavorativa: il 15% si augura di operare nel settore fieristico e turistico, mentre il 12% vorrebbe promuovere il Made in Italy. 1 su 10 si vede un giorno nella ristorazione e il 2 per cento come giornalista o critico enogastronomico.
Da agraria laureati e contenti – Un’indagine sulla condizione occupazionale dei laureati di primo livello è stata condotta, per conto del Consorzio AlmaLaurea, nell’autunno 2006. La rilevazione è stata estesa a 40 Università. In generale, a un anno dal conseguimento del titolo i laureati di primo livello presentano un tasso di occupazione pari al 45% (oltre il 7% in meno rispetto alla situazione occupazionale dei laureati pre-riforma). Oltre al 27% dedito esclusivamente al lavoro, non bisogna dimenticare una quota significativa di laureati (17,5%) che si è posto l’obiettivo ambizioso di coniugare studio e lavoro. Parallelamente, è impegnato esclusivamente negli studi specialistici il 45% dei laureati. Solo 7 laureati di primo livello su cento, infine, non lavorando e, non essendo iscritti alla laurea specialistica, si dichiarano alla ricerca di lavoro. Per quanto riguarda i singoli gruppi di corsi di laurea, il 51,1% dei neolaureati triennali di Agraria lavora entro 1 anno dalla laurea, e di questi il 15,4% risulta anche iscritto alla laurea specialistica. Con questo risultato, i neolaureati in Agraria di primo livello si collocano al 4° posto dopo i neolaureati dell’area medica(96,9%), quelli dell’area di educazione fisica (62,6%) e quelli dell’area d’insegnamento (61,6%). Per quanto riguarda l’ambito di Agraria, si evidenzia una percentuale del 51,7%, considerando sia gli iscritti alla specialistica sia quelli che, oltre all’iscrizione alla specialistica, lavorano. Generalmente le principali motivazioni all’origine della prosecuzione degli studi con la laurea specialistica sono rappresentate dalla volontà di completare e arricchire la propria formazione (69%), mentre quasi un quarto dei laureati (28%) ha sentito questa come scelta “quasi obbligata” per accedere al mondo del lavoro. La tendenza è confermata all’interno di tutti i gruppi, anche se risulta particolarmente elevato il desiderio di migliorare la propria formazione tra i laureati dei gruppi medico (91%), ingegneristico (79%) e scientifico (78,5%).
Guadagno mensile di un laureato triennale – A un anno dal conseguimento del titolo il guadagno mensile netto dei laureati di primo livello è pari in media a 969 euro, con notevoli differenze tra chi prosegue l’attività lavorativa iniziata prima del conseguimento del titolo (1.075 euro) e chi l’ha iniziata al termine degli studi (869 euro). Differenze retributive si riscontrano all’interno dei vari percorsi di studio: guadagni più elevati sono infatti associati ai laureati dei gruppi medico ed economico-statistico (rispettivamente 1.325 e 1.103 euro). Il guadagno mensile netto per i laureati triennali in Agraria risulta superiore alla media e pari a 1.035 euro al mese. In generale, gli uomini vantano migliori retribuzioni sia nel settore privato che in quello pubblico. Circoscrivendo l’analisi, più correttamente, ai laureati che hanno iniziato l’attività lavorativa dopo la laurea e lavorano a tempo pieno, gli uomini che lavorano nel privato guadagnano il 19% in più: 1.164 euro contro 977 euro delle donne. Nel settore pubblico lo scarto risulta inferiore, ma comunque non irrilevante: (+9%), in quanto lo stipendio corrisponde a 1.195 euro per gli uomini e a 1.099 euro per le donne.
Modalità e tempi di ingresso nel mercato del lavoro – In generale, secondo l’indagine AlmaLaurea di sei successive generazioni di laureati comprese nell’intervallo di tempo 1999-2005 è emerso che nei 12 mesi successivi alla conclusione degli studi l’iniziativa personale risulta la modalità più diffusa per trovare il lavoro (34%). Significativo anche il ricorso all’intermediazione di familiari e di conoscenti per la segnalazione di opportunità lavorative, che ha permesso a 12 neolaureati su cento di trovare un impiego. Come già evidenziato nella precedente rilevazione, risulta in netta ripresa, purtroppo, la richiesta di essere segnalati a datori di lavoro che, rispetto al precedente «canale di ingresso»,
prevede un ruolo passivo del laureato: quest’anno vi hanno fatto ricorso 6 neolaureati su cento (erano la metà solo due anni prima). Si registra quest’anno una significativa contrazione della prosecuzione di stage in azienda (compiuti sia prima che dopo la laurea), anche se tale modalità, pari al 9%, conferma un ruolo di primaria importanza. La chiamata da aziende e la risposta a inserzioni registrano una ripresa nell’ultima rilevazione, dopo la tendenziale contrazione registrata nelle precedenti indagini; attualmente interessano rispettivamente 10 e 6,5 laureati su cento. In netta ripresa anche le domande per insegnare che, pur riguardando solo 4 laureati su cento, risultano quasi raddoppiate rispetto a precedenti indagini. Con il dilatarsi del tempo trascorso dal conseguimento del titolo assumono un particolare rilievo le assunzioni tramite concorso pubblico, che hanno coinvolto, tra i laureati del 2001, 10 occupati su cento (erano solo 4 su cento a un anno). Tale canale è privilegiato dai laureati di alcuni gruppi di corsi (medico, insegnamento, scientifico, politico-sociale). A 5 anni dal conseguimento del titolo anche l’inizio di un’attività autonoma coinvolge una quota consistente di laureati (13%), quadruplicata rispetto alla rilevazione a un anno. L’iniziativa personale resta anche a cinque anni la modalità maggiormente utilizzata ed è stata efficace per 28 occupati su cento. I canali di accesso al mercato del lavoro variano significativamente a seconda dell’area territoriale in cui i laureati operano le proprie scelte e si mettono a disposizione del tessuto economico e produttivo. A 5 anni dal conseguimento del titolo, infatti, le maggiori difficoltà economiche del Mezzogiorno si traducono nel frequente ricorso, da parte dei laureati, all’avvio di attività autonome (21% per il Sud, 9% per il Nord). Per i laureati nel settore agrario sono necessari in media 5,6 mesi, come nella media di tutti i laureati di primo livello. Particolarmente rapidi nell’inserirsi nel mercato del lavoro sono ingegneri, medici e architetti, che impiegano meno di 4 mesi per trovare il primo lavoro.
Tipo di attività lavorativa – In generale, a cinque anni dalla laurea risultano stabili 71 occupati su cento, il 27% in più rispetto a quando furono intervistati a un anno dal conseguimento del titolo. Il grande balzo in avanti è dovuto in particolar modo all’aumento dei contratti a tempo indeterminato, che sono lievitati del 15%, raggiungendo quasi il 47% a 5 anni. Il lavoro autonomo, guadagnando 11 punti, è passato dal 13 al 24%. Nel quinquennio si sono ridotte le quote di lavoro atipico (dal 39,5 al 26%), i contratti di formazione lavoro (contratti di inserimento nella legge Biagi – legge 30/2003 “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”), che di fatto scompaiono, scendendo dall’11 all’1%, e le attività lavorative senza contratto (dal 5 all’1,5%). Dopo un anno dalla laurea la maggiore stabilità contrattuale (superiore al 40%) è registrata dagli occupati nei gruppi architettura, ingegneria, agrario e chimico-farmaceutico. In realtà, la più alta stabilità in assoluto è rilevata tra i (pochi) occupati medici e giuristi (la gran parte di loro, come si è visto, prosegue la formazione): per i primi si tratta soprattutto di attività autonome, per i secondi di contratti a tempo indeterminato. Quasi la metà (45%) dei laureati del gruppo insegnamento è impegnato in attività a tempo determinato, mentre i contratti di collaborazione sono caratteristica peculiare dei gruppi psicologico e scientifico, coinvolgendo un occupato su tre. Nel gruppo agrario non si rilevano particolari differenze tra agrari e veterinari (gli occupati stabili raggiungono nel complesso circa il 69%). Ancora da realizzare invece la stabilità per i laureati dei gruppi letterario, scientifico e linguistico, con tassi che non raggiungono il 55% degli occupati. Le differenze tra
settore pubblico e privato evidenziano che a un anno dalla laurea poco meno di un quinto di chi ha iniziato l’attività lavorativa dopo aver acquisito il titolo è impegnato nel settore pubblico; in quello privato operano, così, oltre 80 laureati su cento. A 5 anni dal conseguimento del titolo le percentuali risultano rispettivamente del 29 e 71%. I contratti di lavoro sono fortemente differenziati fra i due settori: un’analisi puntuale della diversa capacità attrattiva dei settori pubblico e privato non può dimenticare le modici che intervenute in seguito all’avvio della riforma Biagi, che ha riguardato in misura differente il settore pubblico e quello privato, abolendo solo in quest’ultimo i contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Il contratto a tempo determinato caratterizza invece il pubblico impiego: riguarda infatti a un anno 47 laureati occupati su cento, mentre sono 25 su cento nel privato. Anche il contratto di collaborazione, ampiamente presente in ambedue i settori, prevale lievemente nel pubblico dove coinvolge 32 occupati su cento (29 su cento nel privato). A 5 anni dalla laurea il contratto a tempo indeterminato lievita nel settore pubblico dal 12 al 31%, mentre i contratti di collaborazione diminuiscono del 13% (dal 32 al 19%); resta stabile nello stesso periodo la quota di laureati che lavora con un contratto a tempo determinato (47% a un anno dalla laurea, 46% dopo 5 anni). Nel privato il lavoro stabile coinvolge a cinque anni una quota molto più consistente di laureati (72% contro 22% a un anno); si riducono di conseguenza tutte le altre forme contrattuali.
Quello in agraria è un laureato competitivo – I laureati triennali dei corsi di laurea di Agraria appaiono competitivi sul mercato se comparati con i colleghi di altri percorsi formativi. Il 51,1% dei neolaureati in agraria lavora entro 1 anno dalla laurea e di questi il 15,4% risulta pure iscritto alla laurea specialistica. I laureati che proseguono gli studi, sia con o senza lavoro, risultano pari al 51,7% e di questi l’86% prosegue tali studi nello stesso Ateneo e Facoltà. Il guadagno mensile netto di un neolaureato in Agraria si attesta sui 1.035 euro, superiore alla media dei neolaureati (969 euro mensili). Per quanto concerne i tempi di ingresso nel mondo del lavoro i neolaureati in Agraria impiegano mediamente 5,6 mesi e dopo 5 anni dal titolo acquisiscono una posizione di lavoro stabile oltre i 2/3 degli occupati. Sicuramente risultati migliori del laureato in agraria risultano auspicabili e necessari anche se in comparazione con gli altri colleghi laureati; la figura professionale appare competitiva e versatile. Tale versatilità potrà migliorare anche alla luce della maggior partecipazione e offerta di corsi interfacoltà e interateneo, che dovrebbero formare figure di laureati in agraria ancor più flessibili e trasversali in termini di preparazione professionale.