Estate, tempo di vacanze. C’è chi le programma per tempo e chi decide last minute. Vi è chi predilige il mare e chi le passeggiate in montagna. Ma c’è anche chi dall’inverno si prepara a fare “il viaggio della vita”, a raggiungere una meta definita e a farlo con le proprie forze. Magari in bicicletta. Così è andata questa estate a Milko Gennai, di Rapolano Terme, professione autista di rappresentanza, che ha deciso di lasciare a casa l’auto e da casa pedalare per raggiungere Santiago de Compostela e poi Finisterre, l’ultimo lembo di Europa prima dell’Atlantico. Un viaggio che è anche pellegrinaggio. Tre settimane intense di pedalate, fatica, acqua, vento, sole, ma anche di incontri, paesaggi che non si vedrebbero da un’autostrada, riflessioni personali. 2500 chilometri di salite, discese, ma anche di sterminate pianure nella meseta spagnola, carrettiere, strade bianche, percorsi segnalati. E, naturalmente, emozioni. “Quando ho finito il viaggio ed ho visto davanti a me la distesa dell’Oceano non ce l’ho fatta ed ho pianto. Non so perché. Ero contento. Ma ho capito che era finita e mi sono scese le lacrime dagli occhi”, racconta oggi Milko agli amici.
Partito con un borsone da 17 chili, il minimo indispensabile per un cambio e gli attrezzi per le riparazioni al mezzo, Milko già dopo La Spezia ha trovato sulla sua strada un compagno di viaggio. Un fischio da dietro con cui si annuncia, un veloce scambio di battute e la scoperta che la meta ultima per entrambi è la stessa. E con Vincenzo attraversano la Liguria e poi la Francia. Sfilano sotto le ruote Montecarlo, Aix en Provence, il Rodano, l’affascinante Camargue, Arles e il suo acquedotto romano. E poi ancora, Montpellier, Tolosa, le chiese dei templari. E la scelta di seguire l’antica via dei monaci-guerrieri per la Spagna. Una decisione che conduce a scoperte e incontri inattesi. Come il passaggio nel paese di Le Crès, uno dei tanti se non fosse che è gemellato con il senese Monteroni d’Arbia, come recita il cartello all’ingresso del paese. O l’incontro con Bernard e Christine, così ospitali che ai due viandanti infreddoliti e zuppi per la pioggia offrono due camerette, una cena luculliana, i loro ricordi di viaggi passati. Ma la sosta non può mai durare più di una notte. Lo sa il pellegrino e lo sa l’ospite. E così dopo i saluti e la promessa di un nuovo incontro, si riparte a faticare sui pedali, i Pirenei si cominciano ad intravedere e si arriva a Tarbes. L’amico pisano decide di svoltare per Lourdes, Milko prosegue per Roncisvalle. Le loro strade si separano ma i due si incroceranno di nuovo. Promesso.
Si parte da Saint Jean Pied de Port. È l’inizio del “Camino di Santiago”. E ci sono già 10 giorni di strada nelle gambe. Qui si prende la conchiglia, simbolo del pellegrino diretto alla meta santa, e si sale sui Pirenei. C’è anche l’incontro con due pisani, di Calci. Dello stesso paese di Vincenzo. Sapevano che anche lui era partito ed è Milko a dare loro informazioni sul compaesano. Potenza delle combinazioni. Al passo de Ibaneta si pianta la croce nel monte delle croci (ogni viandante vuole vivere fino in fondo la tradizione e per questo è attento a non disperdere nulla di consuetudini tramandate di bocca in bocca, di racconto in racconto) e poi via giù dai Pirenei. Ecco subito Roncisvalle, ancora echi della lontana battaglia ma soprattutto della chanson de Roland che ha reso familiare sino ai giorno nostri il nome di questo piccolo paesino nascosto nelle montagne. Finalmente Pamplona, con il suo carico di passioni e spericolatezza per quei tori a corsa nelle strade. E Milko ne sa qualcosa, c’è già stato 4 volte e ora, dopo 10 anni dall’ultima volta, ha voluto ricercare tutti i luoghi già conosciuti e frequentati con i suoi amici rapolanesi. “È tanto cambiata ma è sempre una città straordinaria che vale la pena visitare e conoscere”, dice. Si riparte, non c’è tempo per i ricordi. In ogni sosta serale negli ostelli che ospitano i pellegrini, l’incontro con qualcuno, un rapido scambio di battute, prima di riposarsi sdraiati in una branda o in un letto a castello. Francesi, tedeschi, svizzeri, italiani, non c’è differenza: la stanchezza non ha confini geografici, è uguale per tutti. A piedi, in bici, ma anche con il ciuchino, tutti portano con sé una motivazione profonda che li accompagnerà in questa avventura.
Da secoli, ormai, ogni primavera-estate si rinnova e riaggiorna il mito del pellegrinaggio, oggi per alcuni non solo di carattere religioso, ma comunque si rinnova. Anzi ogni anno sembra aumentare. E i piccoli paesi attraversati dal cammino fanno a gara a realizzare servizi gratuiti, abbellire, creare percorsi differenziati, segnalare il sentiero panoramico o quello dentro il bosco..
Ecco Logrono, Burgos, e la Meseta, un’enorme pianura a 800 metri di altitudine con una strada diritta che non finisce mai. Qui la fatica comincia a farsi sentire ma di giorno in giorno aumentano anche i pellegrini che si incontrano nel viaggio. Per tutti un saluto, un augurio di buen camino e un “ci vediamo a Santiago”. Si arriva nel Bierzo, c’è il Cebreiro, 1320 metri sul livello del mare, da superare con le proprie forze, l’acqua batte nelle gambe e il freddo morde. Ma indietro non si torna e la strada è ancora lunga. Ma ecco che le gambe sentono vicina la meta, si procede spediti, le frecce gialle che indicano il cammino sono sempre presenti, i monumenti al pellegrino lo stesso. Poi dietro una montagna, improvvisamente ecco la città. Ecco la cattedrale. Ecco la bicicletta che da sola trova la strada, si inoltra nelle piccole viuzze colme di gente e viene attratta dalla piazza della cattedrale. La gioia è immensa. C’è tempo per le foto, per la messa, per il timbro e per la “Compostela”, il certificato che testimonia, casomai con il tempo si dimenticasse la fatica, che l’impresa è stata fatta. Poi ancora una tappa fino a Finisterre, altra foto, e le lacrime. Tutto è andato come previsto, le gambe hanno retto, il fisico lo stesso, ma le lacrime non erano previste. Meglio così. Se Milko era andato per cercare qualcosa, forse quelle lacrime sono la prova che qualcosa ha trovato. Buen camino