Nove italiani su dieci vogliono massima sicurezza alimentare chiedono misure efficaci per reprimere sofisticazioni e adulterazioni dei prodotti; 7 su dieci vogliono un’etichetta "trasparente" che permetta di riconoscere la provenienza del prodotto. Il 60 per cento dei nostri connazionali guarda alla qualità, mentre il 34 per cento orienta l’acquisto più sul prezzo e sceglie, quindi, un prodotto di qualità inferiore. Sono questi alcuni elementi di una ricerca sui consumi e sulle tendenze e le abitudini a tavola delle famiglie italiane in base alle rilevazioni territoriali dei dati Istat e Ismea.
Sicurezza – La sicurezza è, quindi, al primo posto nelle scelte alimentari degli italiani. Una tendenza che è stata rafforzata anche dagli ultimi scandali alimentari e in particolare dalle vicende che hanno riguardato i sequestri di prodotti “pericolosi” per la salute, come il famigerato latte cinese alla melanina. I rincari hanno, comunque, influito molto sulle abitudini a tavola. Sta di fatto, come prima rilevato, che il 34 per cento ha optato per prodotti di qualità inferiore e, quindi, a prezzi più bassi; mentre il 60 per cento delle famiglie italiane ha modificato il menù, il 35 per cento ha limitato gli acquisti. E’ così gli acquisti agroalimentari, a fine 2008, dovrebbero scendere del 3,8 per cento.
Consumi – Consumi che nei primi mesi di quest’anno sono diminuiti, in quantità, del 4 per cento, ma la spesa alimentare mensile familiare (482 euro), in termini monetari, è cresciuta, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, del 2,5 per cento. Per quanto riguarda le aree geografiche, al Nord la spesa alimentare mensile è pari a 458 euro (più 1,9 per cento nei confronti del 2007), al Centro è di 496 euro (più 2,4 per cento) e al Sud è di 492 euro (più 2,8 per cento). I consumi alimentari, sempre nei primi sette mesi del 2008, sono scesi del 3,6 per cento nelle regioni del Nord, del 4,1 per cento in quelle centrali e del 4,3 per cento nel Mezzogiorno.
Prodotti con qualità inferiore – Per quanto concerne la scelta di prodotti di qualità inferiore, l’orientamento delle famiglie, a livello nazionale, ha riguardato il pane per il 40,2 per cento, la carne bovina per il 46,2 per cento, la frutta per il 44,5 per cento, gli ortaggi per il 39,7 per cento, i salumi per il 32,5 per cento. Sempre nei primi sette mesi del 2008 è cresciuta la percentuale di famiglie che ha acquistato prodotti agroalimentari presso gli hard-discount (dal 9,7 del 2007 al 10,2 per cento). Comunque, gli iper e i supermercati restano i punti vendita dove si ha la maggiore concentrazione degli acquisti da parte degli italiani con il 68,2 per cento (specialmente nel Centro-Nord con il 73 per cento). A seguire il negozio tradizionale (64,9 per cento), in particolare nel Sud (77,1 per cento). Da rilevare che per la spesa nei mercati rionali ha optato il 21 per cento delle famiglie residenti nel Centro-Nord e il 31,7 per cento quelle delle regioni meridionali.
Percentuale di spesa – La percentuale della spesa destinata all’alimentazione è pari al 18,8 per cento, ma varia tra le classi sociali e per condizione di lavoro. Gli imprenditori e i liberi professionisti -come si rileva anche dall’ultima indagine Istat- spendono per imbandire le loro tavole il 14,5 per cento della spesa totale, i lavoratori autonomi il 18,2 per cento, i dirigenti e gli impiegati il 16,1 per cento, gli operai il 19,9 per cento; mentre per i pensionati la percentuale è del 21 per cento.
Previsioni 2008 – Dai dati emersi dalla ricerca e in base alle tendenze oggi in atto, le previsioni per la spesa alimentare nel corso del 2008 evidenziano, così, un calo dei consumi pari al 3,8 per cento. Flessioni più marcate per la frutta (meno 3,9 per cento), per la carne bovina (meno 3,1 per cento), per il pane (meno 2,4 per cento), per il vino e lo spumante (meno 2,1 per cento), per l’olio d’oliva (meno 1,9 per cento), per gli ortaggi e le patate (meno 1,8 per cento), per la carne suina e i salumi (meno 1,6 per cento). Dovrebbero, invece, risultare in crescita prodotti come la pasta (più 1,3 per cento), nonostante la forte lievitazione dei prezzi fin adesso registrata, la carne avicola (più 5,7 per cento), il latte e i suoi derivati (più 0,8 per cento).