La crisi finanziaria ha provocato un cambiamento delle abitudini alimentari di quattro italiani su dieci (37 per cento) e si è così trasferita dalle borse alla tavola, facendo sentire i suoi primi effetti concreti sull’economia reale. E’ quanto emerge dalla presentazione dei risultati della prima indagine che studia il trasferimento degli effetti della crisi dai mercati finanziari all’economia reale “la crisi dalla borsa alla tavola”, realizzata da Coldiretti – Swg, presentata nel corso del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione organizzato dalla Coldiretti a Villa d’Este di Cernobbio. Dall’indagine si evidenzia che la crisi economica finanziaria – sottolinea la Coldiretti – fa piu’ paura della guerra ma rimane comunque alta la preoccupazione per la contaminazione dei cibi per effetto dei recenti scandali alimentari come la melamina nel latte cinese e i formaggi contraffatti. Sono proprio la necessità di risparmio e il bisogno di sicurezza i fattori che spingono al cambiamento che, per oltre la metà delle risposte, si manifesta – precisa la Coldiretti – nel tipo di alimenti acquistati e nei luoghi in cui si fa la spesa ma anche nell’attenzione alla provenienza dei cibi e nella lettura delle etichette (40 per cento).
Cambia il menù – I cambiamenti nei comportamenti di acquisto sono giustificati dal fatto – rileva la Coldiretti – che la spesa alimentare è la seconda voce dopo l’abitazione e assorbe il 19 per cento della spesa mensile totale delle famiglie, per un valore di 466 euro al mese destinati nell’ordine principalmente all’acquisto di carne per 107 euro, di frutta e ortaggi per 84 euro, di pane e pasta per 79 euro e di latte, uova e formaggi per 62 euro, pesce per 42 euro, zucchero, dolci e caffè per 32 euro, bevande per 42 euro e 18 euro per oli e grassi. Se complessivamente sono stagnanti le quantità acquistate, si sono verificate variazioni nella composizione della spesa con piu’ pollo e meno bistecche: si sono ridotti i consumi di pane (- 2,5 per cento), carne bovina (- 3,0 per cento) frutta (- 2,6 per cento) e ortaggi (- 0,8 per cento), mentre tornano a salire quelli di pasta (+ 1,4 per cento), latte e derivati (+1,4 per cento) e fa segnare un vero boom la carne di pollo (+ 6,6 per cento), secondo i dati Ismea Ac Nielsen relativi al primo semestre del 2008. Le vendite – precisa la Coldiretti – sono in netto calo nei negozi al dettaglio specializzati e stabili negli ipermercati, mentre crescono esclusivamente, fatta eccezione degli hard discount, i mercati rionali, le bancarelle e soprattutto gli acquisti diretti dai produttori. Un vero e proprio boom giustificato dal fatto che secondo l’Indagine – continua la Coldiretti – per la grande maggioranza degli italiani (48 per cento) gli aumenti dei prezzi sono imputabili ai passaggi intermedi dal produttore al consumatore, ma sotto accusa sono i ricarichi dei commercianti e le speculazioni. “Serve piu’ trasparenza e piu’ concorrenza tra sistemi distributivi in concorrenza con la “filiera lunga, dove possibile, serve una filiera corta più composta che consente di tagliare le intermediazioni e di avvicinare la produzione al consumo”.Occorre – afferma il presidente della Coldiretti Sergio Marini – affiancare, nel sistema distributivo tradizionale, al prodotto in cui l’elemento caratterizzante è la ricetta, un prodotto in cui gli elementi caratterizzanti sono il territorio e la distintività".
Due su tre si buttano sul tipico – Quasi 2/3 degli italiani (il 64 per cento) si difende dai rischi alimentari e dal caro prezzi acquistando cibi locali che risentono meno dei passaggi di mano e offrono maggiori garanzie di freschezza e genuinità. “Stiamo sostenendo con impegno la necessità di dare spazio sugli scaffali della grande distribuzione ai prodotti locali e di stagione, per ottimizzare il rapporto prezzo e qualità, ma anche di contenere i costi energetici ed ambientali a carico dei prodotti importati da lunghe distanze” afferma il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che “la crisi economica ha messo in discussione il principio base della globalizzazione in base al quale si consumano i prodotti realizzati dove costa meno mentre oggi è necessario favorire la produzione vicino ai luoghi di consumo per motivi economici e ambientali sia nei paesi poveri che in quelli ricchi. Negli Stati Uniti le grandi catene come Val Mart e Whole Foods stanno incentivando la vendita di prodotti locali mentre l’Italia – ha precisato – è in forte ritardo nonostante i primati produttivi e qualitativi nell’offerta agroalimentare nazionale: dalla frutta e verdura al vino, dal biologico ai prodotti tipici. In Italia l’86 per cento delle merci viaggia su strada ed è stato stimato che un pasto medio – continua la Coldiretti – percorre più di 1.900 chilometri per camion, nave e/o aeroplano prima di arrivare sulla tavola, al punto chee spesso ci vogliono più calorie di energia per portare il pasto al consumatore di quanto il pasto stesso provveda in termini nutrizionali.
Km zero – La Coldiretti ha promosso il progetto a chilometri zero per favorire il consumo di prodotti locali e di stagione che non devono percorrere lunghe distanze con mezzi di trasporto inquinanti prima di giungere sulle tavole. E dal Veneto alla Calabria le amministrazioni regionali si sono attivate quest’estate con l’approvazione di leggi a favore dei cibi a “chilometri zero”, promosse con la raccolta di firme dalla Coldiretti, che sanciscono la preferenza ai prodotti locali in mense, ristoranti e grande distribuzione per combattere i rincari dovuti all’aumento del costo dei trasporti e l’impatto sul clima provocato all’inquinamento con l’emissione di gas serra dei mezzi di trasporto.