La domanda di ‘capitale’ naturale mondiale provocata dalle attività umane è di circa un terzo più di quanto il pianeta possa realmente sostenere provocando così il nostro debito ecologico nei suoi confronti. Se potessimo raffigurarlo questo ‘terzo’ di pianeta sarebbe un grosso ‘spicchio’ ‘virtuale’ di Terra sottoforma di acqua, suolo fertile, foreste, risorse ittiche, etc. che l’umanità consuma freneticamente ma che in realtà non esiste perché ancora non si è potuto rigenerare. Quello che nel 1961 era ancora un credito rispetto al nostro utilizzo di risorse si è trasformato in un debito crescente. Negli ultimi 45 anni la domanda dell’umanità sul pianeta è più che raddoppiata in conseguenza dell’incremento demografico e dei crescenti consumi individuali.
Quadro allarmante – E’ questo il duro monito contenuto nell’ultima edizione del Living Planet Report del WWF, la principale analisi dello stato di salute del pianeta lanciata oggi al livello mondiale. Inoltre, lo stato di salute dell’ambiente globale e della biodiversità è in continuo declino e sempre più aree del pianeta stanno andando verso uno stato di stress idrico permanente o stagionale. “Il mondo sta vivendo l’incubo di una recessione economica per aver sovra-stimato le risorse finanziarie a disposizione– ha dichiarato James Leape, direttore del WWF Internazionale – ma una crisi ancor più grave è alle porte – ovvero, l’erosione del credito ecologico causato dall’aver sottovalutato l’importanza delle risorse ambientali come base del benessere di ogni società. Se la nostra pressione sulla Terra continuerà a crescere ai ritmi attuali, intorno al 2035 potremmo avere bisogno di un altro pianeta per mantenere gli stessi stili di vita”. Il Report, prodotto dal WWF insieme alla Società Zoologica di Londra (ZSL) e al Global Footprint Network, mostra come oltre tre quarti della popolazione umana viva in paesi che sono ‘debitori’ in termini ecologici, dove i consumi nazionali hanno abbondantemente superato la capacità biologica nazionale. “Molti di noi sostengono il proprio stile di vita, la propria crescita economica consumando, in maniera sempre più insostenibile il capitale ecologico di altre parti del mondo. – dichiara Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Nel 1961 quasi tutti i paesi del mondo possedevano una capacità più che sufficiente a soddisfare la propria domanda interna, al 2005 la situazione è radicalmente mutata e molti paesi sono in grado di soddisfare i loro bisogni solo importando risorse da altre nazioni ed utilizzando l’atmosfera terrestre come un’ enorme “discarica” di anidride carbonica ed altri gas ad effetto serra.
Le novità della settima edizione – Il Report viene pubblicato dal 1998 e, a partire dal 2000, ogni due anni (l’attuale è la settima edizione del Rapporto). Nell’edizione del 2008 viene resa nota, per la prima volta, la misurazione l’Impronta idrica, sia al livello nazionale che globale che si aggiunge come indicatore aggregato agli altri due, ovvero, l’Impronta Ecologica, l’analisi della domanda di risorse naturali derivante dall’attività umana, e l’Indice del Pianeta Vivente, la misurazione dello stato di salute dei sistemi naturali. L’Indice del Pianeta Vivente, compilato in particolare dalla Società Zoologica di Londra, mostra come dal 1970 si sia verificato il declino complessivo della biodiversità (della ricchezza della vita sul pianeta) di circa il 30% tenendo conto dell’analisi di circa 5000 popolazioni di 1.686 specie di animali vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci). Nelle aree tropicali la riduzione è più drammatica che altrove, essendo al 50%, e le cause principali sono costituite dalla deforestazione e dalle modificazioni dell’uso del suolo; per le specie di acqua dolce le cause principali sono l’impatto delle dighe, la deviazione dei corsi fluviali e i cambiamenti climatici (per un declino del 35%). Gli ambienti costieri e marini invece soffrono soprattutto di inquinamento e di pesca eccessiva o distruttiva.
Recessione ecologica in arrivo – “Abbiamo nei confronti del pianeta lo stesso atteggiamento dilapilatorio che le istituzioni finanziarie hanno avuto nei mercati. Siamo abituati a pensare nel breve termine mirando ad una crescita materiale e quantitativa ormai insostenibile basata sullo sfruttamento dissennato delle risorse naturali senza alcuna considerazione delle generazioni che abiteranno questo pianeta dopo di noi – continua Bologna – Gli effetti di una crisi ecologica globale sono persino più gravi del disastro economico attuale”. Le emissioni di anidride carbonica da fonti di energia fossili e il consumo del suolo costituiscono tra le attività umane, quelle che più pesano nel calcolo dell’Impronta Ecologica e che si legano ad una delle maggiori cause di pericolo attuale, ovvero, i cambiamenti climatici. L’analisi dell’Impronta Ecologica, prodotta dal Global Footprint Network, mostra come la biocapacità globale – ovvero, l’area necessaria a produrre le risorse primarie per i nostri consumi e a “catturare” le nostre emissioni di gas serra – è di circa 2.1 ettari ‘globali pro-capite mentre l’Impronta ecologica e cioè il nostro utilizzo delle capacità produttive dei sistemi naturali sale a 2.7 ettari globali pro-capite. Abbiamo quindi un deficit di 0,6 ettari globali pro-capite. “Continuare ad alimentare il nostro deficit ecologico avrà ripercussioni gravi anche in economia – ha dichiarato il direttore esecutivo del GFN, Mathis Wackernagel – Il limite della disponibilità delle risorse e il collasso dei sistemi naturali possono far scattare una potente stagflazione (l’incrocio tra stagnazione ed inflazione) con un crollo del valore degli investimenti mentre i costi di cibo ed energia salgono alle stelle”.
I grandi divoratori della Terra – Stati Uniti e Cina hanno le Impronte Ecologiche nazionali maggiori, con circa il 21% ciascuna di consumo della biocapacità globale; ma nei valori pro-capite gli statunitensi mantengono il primato assoluto di grandi ‘divoratori’ del pianeta, richiedendo una media di 9.4 ettari globali (come dire, che ciascun americano vive con le risorse di circa 4.5 pianeti Terra) mentre i cittadini cinesi sono su una media di 2.1 ettari pro-capite (un solo Pianeta). L’Italia è al 24° posto nella classifica dei paesi con la maggiore Impronta Ecologica. Presenta un’ impronta di 4,8 ettari globali pro capite ed una biocapacità di 1,2 ettari globali pro capite. Quindi l’Italia si trova in una situazione di deficit ecologico, di 3,5 ettari globali pro capite. Prima di noi ci sono, tra gli altri, USA, Danimarca, Australia, Canada, Grecia, Spagna, Regno Unito, Francia, Giappone mentre dietro di noi vengono, ad esempio, Portogallo, Germania, Olanda. La biocapacità è distribuita in maniera disomogenea, poiché 8 nazioni – USA, Brasile, Russia, Cina, India, Canada,Argentina e Australia – contengono oltre la metà della biocapacità globale. I modelli di crescita della popolazione e dei consumi rendono 3 di questi paesi ‘debitori’ ecologici, con un’Impronta Ecologica superiore alla bio-capacità nazionale – gli Stati uniti (con un’Impronta 1.8 volte rispetto alla biocapacità nazionale), Cina (con 2.3 volte) e India (con 2.2. volte). In pieno contrasto, sull’altro fronte, si trova il Congo, al settimo posto in termini di ampiezza della propria biocapacità media, con 13.9 ettari globali per persona e un’Impronta ecologica media pro-capite di appena 0.5 ettari, la quarta Impronta più bassa tra tutte le nazioni che hanno una popolazione sopra il milione di individui. Ma le proiezioni indicano che il paese subirà un degrado della bio-capacità a causa della deforestazione e della crescita delle richieste di risorse dovute all’aumento della popolazione e alle forti pressioni sull’esportazione dei prodotti.
Italia 4° consumatore mondiale di acqua – Il nuovo indicatore dell’Impronta Idrica, per la prima volta introdotto in questo Rapporto, è costituito da due componenti e cioè l’impronta idrica interna che è composta dalla quantità di acqua necessaria per produrre beni e servizi prodotti e consumati internamente al paese e dall’impronta idrica esterna che deriva dal consumo delle merci importate e calcola, quindi, l’acqua utilizzata per le produzioni delle merci dal paese esportatore). L’Impronta Idrica evidenzia lo stretto legame tra produzione di beni di consumo e utilizzo della risorsa acqua; ad es, in una maglietta di cotone si ‘nascondono’ almeno 2.900 litri di acqua, impiegati nell’intera filiera di produzione. Ciascun abitante della terra consuma in media 1.24 milioni di litri di acqua all’anno (circa metà di una piscina olimpionica) ma questo consumo varia dai 2.48 milioni di litri a persona all’anno (come avviene negli USA) fino a 619.000 litri pro-capite all’anno (Yemen). Il Report segnala almeno 50 paesi che attualmente stanno affrontando crisi idriche più o meno accentuate e il numero delle persone che soffrono di questo stress, stagionali o annuali, tendono ad aumentare a causa dei cambiamenti climatici. L’Italia è il 4° maggiore consumatore di acqua al mondo con un consumo di 2,332 metri cubi pro capite annui (dei quali 1,142 interni e 1,190 esterni). Davanti a noi abbiamo, nell’ordine, USA, Grecia e Malesia, dietro di noi, dalla Spagna , al Portogallo, al Canada ecc.
Invertire la rotta si può – “I dati contenuti nel Living Planet rappresentano delle chiare e inequivocabili indicazioni su cosa bisogna fare – ha dichiarato Leape – La nostra speranza è che negli anni a venire noi potremo rilevare un aumento dell’Indice del Pianeta Vivente, un’Impronta Ecologica più ridotta e una disponibilità di acqua maggiore in molte parti del pianeta”. Il Report suggerisce alcune strategie di “sostenibilità” che se combinate tra loro possono stabilizzare o invertire la rotta che ci sta portando verso il debito ecologico e a un danno permanente di tutti i sistemi globali che sostengono il nostro sviluppo. Per quella che si ritiene come la sfida più importante – i cambiamenti climatici – il Report mostra come un insieme di azioni mirate all’efficienza, all’uso delle rinnovabili e alle tecnologie a basse emissioni possa soddisfare la domanda di energia prevista per il 2050 con una riduzione in emissioni di CO2 dal 60 all’80%. “Se l’umanità riuscirà a seguire questa strada avrà la capacità di vivere entro i limiti del pianeta ma è necessario riconoscere che per affrontare l’erosione del nostro ‘credito ecologico’ saranno necessarie azioni ancora più coraggiose di quanto sia stato avviato per risolvere l’attuale crisi economica”