Vino italiano, la crescita continua davanti a scenari competitivi

Presentazione delle indagini di mercato: “Il vino nei locali italiani di qualità” (Unicab-Axiter); “Vino, il mercato che verrà” (Università Federico II – Edizioni L’Informatore Agrario); “Il mercato del vino nella GDO” (IRI Infoscan); “Gli italiani e il vino” (Bocconi Trovato & Partners).
Elaborazione: Centro Studi Vinitaly –Veronafiere.

Da oltre un decennio Veronafiere monitora costantemente il mercato del vino. Direttamente, attraverso il rapporto quotidiano coi produttori, le associazioni di categoria, e le istituzioni private e pubbliche proposte alla promozione ed alla statistica. Il monitoraggio viene svolto da undici anni anche all’estero nei Vinitaly Tour, i momenti di incontro B2B organizzati da Veronafiere che hanno accompagnato all’estero centinaia di piccole e medie aziende e con un contatto one to one con oltre 20mila operatori.
Quest’anno Veronafiere ha commissionato più ricerche: la prima "autoanalisi" realizzata coinvolgendo direttamente i produttori; l’analisi del sentiment dei consumatori italiani riguardo al vino; il monitoraggio delle vendite nella grande distribuzione; i trend dei consumi di vino nei locali top della ristorazione italiana e  per la prima volta sui winebar/enoteche trend setter in Italia. Complessivamente si tratta di alcune migliaia di testimonial contattati (e ri-contattati in qualche caso a distanza di pochi anni): di fatto il più completo osservatorio realizzato su questo settore specifico.

Edizione Vinitaly 2009 da record – Partiamo da il primissimo dato "interno". Le fiere rappresentano il più immediato termometro sullo stato di salute di un comparto economico dato che rappresentano una percentuale significativa delle opportunità di incontro e business fra gli operatori. Ebbene la 43a edizione del Vinitaly registra il boom nei metri quadrati venduti (è il dato più significativo in quanto rileva l’andamento reale degli investimenti dei vignaioli, al netto delle fluttuazioni nel numero degli operatori) e, soprattutto, vede già preadesioni di operatori professionali dall’estero in crescita del 50% rispetto all’edizione 2008. Le preadesioni da parte degli operatori professionali italiani registrano invece un più 20%. Il dato dall’internazionale appare più significativo non tanto per il valore assoluto in sé ma perché arriva in un anno che vede la concentrazione, a distanza di poche settimane l’una dall’altra, di ben tre rassegne di rilevanza. Tre manifestazioni ravvicinate avrebbero dovuto portare ad un effetto "cannibalizzazione" che, per il Vinitaly, non c’è stato.

Mercato interno: la crescita 2008 – L’andamento delle vendite in Italia nel 2008 sono state ancora positive. Il primo dato che segnala il proseguimento di un clima positivo al vino arriva dalla grande distribuzione, uno dei principali interlocutori per i consumatori. I dati a fine 2008 (l’andamento del Pil è stato negativo ) hanno evidenziato questi risultati: il valore del vino confezionato venduto è stato pari a 1,3 miliardi di euro, con una crescita del 3,6% sul 2007; i vini a minor valore aggiunto (senza denominazione d’origine; in confezioni brik o di plastica, bottiglioni ecc) ha visto una crescita del 2,5% attestandosi a 546 milioni di euro; il vino in bottiglia a denominazione, con prezzo unitario della bottiglia inferiore ai 5 euro, ha raggiunto gli 823 milioni di euro (+4,3%), in linea col dato 2007, tra questi i vini a denominazione di prezzo unitario alla bottiglia superiore ai 5 euro sono cresciuti del 16,4%, portandosi a 159 milioni di euro.

Ancora più interessante l’analisi dei flussi sui volumi intermediati – Il volume complessivo registra un calo del 2,4% ma mentre la contrazione è stata marcata per i vini di minor valore aggiunto (senza denominazione, in brik ecc) che hanno perso 3,6 punti percentuali, i vini a denominazione hanno registrato acquisti stabili nella fascia di prezzo inferiore ai 5 euro a bottiglia e ben il 19,2% in più nei volumi comprati nella fascia di prezzo superiore. In sostanza, gli Italiani bevono di meno soltanto il vino di minor pregio intrinseco.
    
La scelta della qualità poggia su basi solide – La scelta qualitativa è confermata anche nelle parole dei consumatori e dei ristoratori/titolari di winebar intervistati: i consumatori italiani ritengono di non aver diminuito la quantità di vino bevuto nel 2008, ma di aver visto crescere la qualità. Questa scelta è stata registrata dai professionisti che indicano proprio nei brand di qualità più elevata la concentrazione delle vendite nei propri ristoranti/winebar. Tanto che le prime venti etichette segnalate ritroviamo il top della produzione italiana. Legittima la domanda: c’è stato un fattore emulazione, di moda nell’acquisto dei vini? Le comparazioni fra i sondaggi evidenziano una risposta negativa: l’essere di "moda" è una motivazione appena per lo 0,8% del campione di consumatori intervistati, mentre le attese di "status" legate ad un certo vino appartengono al 2.9% del campione contro una percentuale legata alla certezza nella qualità (44,5%)  e nell’origine del vino (48,4%). Consolante il fatto che il fattore moda non incide neppure nelle motivazione di chi il vino proprio non lo compra: nessuno infatti lo ritiene "fuori moda"!

Leadership in Italia sempre più "rotonda" – Esterofili? Gli Italiani a tavola si confermano poco interessati alle offerte provenienti dai Paesi produttori terzi, tanto che negli ultimi tre anni ad un aumento della comunicazione dei competitor internazionale la percentuale di etichette italiane nei ristoranti e nei wine bar nazionali è ulteriormente cresciuta. Le crescite maggiori si sono registrate per distillati e vini dolci, ma bianchi, rossi e rosati hanno arrotondato le rispettive quote di mercato. Persino nei vini spumante – dove tradizionalmente la voce Champagne gioca un ruolo importante – la percentuale degli "internazionali" non è cresciuta: il 64,4% delle etichette presenti fra ristorazione e winebar è "autoctona". Soltanto una bottiglia su tre è estera. Esattamente come tre anni fa. Anche in questo caso sono consumatori e operatori professionali a confermare che questo approccio "patriottico" è una costante del mercato: come vedremo più avanti quello che si cerca è il rapporto diretto, personale e continuato col vignaiolo. Questo rende – oggettivamente – meno permeabile il mercato italiano a produttori internazionali, benché di alta qualità.

Paesi competitori: chi vende in Italia – Ristoranti e winebar continuano comunque, come giusto, a proporre etichette internazionali: si va da percentuali molto alte per i vini francesi a presenze meno significative per le etichette provenienti dai nuovi produttori dell’Europa allargata. L’ingresso nella rilevazione dei winebar ha portato un miglioramento della presenza complessiva francese, presente nell’87% dei locali italiani contro l’85% di tre anni fa anche se nella ristorazione italiana questo dato scende di un punto percentuale. Dati interessanti di crescita li registrano i vini provenienti da Nuova Zelanda (che non a caso ha scelto quest’anno per la prima volta di essere presente al Vinitaly) e dall’Argentina, paese dove sono molti e significativi gli investimenti di importanti nomi dell’enologia italiana e veneta in particolare. I margini per una diffusione dei vini internazionali in Italia è comunque ampia: nelle scelte d’acquisto i consumatori italiani mettono al momento ancora a fondo classifica i prodotti non regionali e non italiani, con la sola eccezione del fenomeno Champagne.

Senza intermediari: rapporto diretto fra produttori e mercato – Rapporto diretto. Gli Italiani vogliono comprare il vino così. L’83,3% dei titolare di winebar e il 78.2% dei ristoratori e il 40.2% dei singoli consumatori riforniscono le proprie cantine direttamente dai produttori. Le percentuale è in crescita rispetto agli anni precedenti. E nel Nordest, e per le donne, questa percentuale sale al 47%.

Il mercato del vino non è un mercato "maturo". Anzi, ha enormi potenzialità al suo interno – Sempre meno abitudine, ma sempre più piacere. I dati sui consumi pro-capite calanti vanno ulteriormente analizzati. Abbiamo sempre ritenuto l’Italia un mercato "maturo" dove la tradizione al vino è forte e radicata, diffusa in maniera eguale in tutti gli strati della popolazione. E quindi che il calo fosse irreversibile. Invece, ben sette italiani su dieci si dichiarano non ferrati in vino. La bevanda tradizionale, in realtà, non è affatto conosciuta. Un italiano su tre non ha alcuna conoscenza; uno su tre dichiara di conoscere bene soltanto i vini della propria regione; uno su quattro quelli italiani; uno su venti quelli italiani e stranieri. Si dichiara gran conoscitore di vino soltanto il 6.4% degli uomini italiani e il 2,7% delle donne. Complessivamente, nove italiani su dieci conoscono al massimo 10 etichette (in una realtà produttiva fatta di molte migliaia di imbottigliatori con proprio brand).

Cosa chiedono gli Italiani – Dunque, c’è una "seconda" Italia che chiede di saperne di più.
Non a caso il 49% degli Italiani ritiene indispensabile un’educazione al corretto consumo con campagne sulla qualità (37%), con giornate di degustazione in cantina (46%), con corsi gratuiti di avvicinamento alla conoscenza del vino (26%). E, ancora, torna la ricerca di un rapporto diretto coi produttori: il 34% degli Italiani apprezzerebbe la possibilità di partecipare ad eventi destinati proprio al pubblico per conoscere e comprare il vino direttamente dai produttori

Ma il vino fa bene o fa male alla salute? – Il paradosso francese? Il resveratrolo e i suoi effetti di contrasto ai fenomeni cancerogeni? Sono fattori noti soltanto a tre Italiani su quattro; potrebbe essere un dato soddisfacente ma generalmente ancora non è del tutto chiarito il corretto rapporto fra il vino e la salute, dove e come fa bene, e dove e come può nuocere alla salute. Soprattutto nei consumatori under 30, il timore per gli aspetti salutistici coinvolge un Italiano su quattro; percentuale che scende a uno su dieci quando l’età dell’intervistato sale nella fascia 31-45. Quest’attenzione ritorna – non a caso – nella principale evidenza del capitoletto precedente, quando da un consumatore su due emerge la richiesta di ottenere un’educazione al corretto consumo.

Il mercato esterno: dal boom dell’export a quali mercati affrontare (e come) nei prossimi mesi? – Nel 2008 annus horribilis per moltissime economie nel mondo, il vino italiano ha portato nelle casse della collettività una cifra record, 3,6 miliardi di euro con un incremento del 2% sul 2007. Un risultato legato – soprattutto – al miglioramento delle quotazioni dei nostri vini e ottenuto in un quadro fortemente penalizzato dal rapporto dollaro/euro, sfavorevole ai nostri produttori che hanno dovuto, per mantenere le quote di mercato, farsi carico della sopravalutazione della moneta europea nei confronti del biglietto verde. I listini negli Usa infatti tendenzialmente sono rimasti stabili. E’ migliorata – dicono alcuni operatori – la capacità commerciale negli Stati Uniti: le realtà italiane che più hanno investito in questa voce hanno visto premiati i loro sforzi con tassi di incremento a due cifre. Quali mercati? Genericamente si parla di Russia e Cina come mercati emergenti. L’osservatorio del Vinitaly permette di focalizzare meglio queste "indicazioni" specificando le diverse opportunità commerciali sulla base della fascia di prezzo: basic, popular premium, premium e super premium. Saranno Cina, Messico, Brasile, Germania e Regno Uniti i Paesi più promettenti nei prossimi 5 anni per i vini basic. Germania e Brasile saranno interessanti anche nella fascia "popular premium" assieme a Norvegia, Canada e Paesi bassi.
La Russia entra fra le realtà più interessanti nella fascia "premium" dopo Hong Kong, India, Singapore e Stati Uniti dove già oggi il vino italiano si va posizionando nella fascia di prezzo più interessante. Il feeling con gli States viene confermato anche per i "super premium" assieme a Russia, Hong Kong, la Cina – nuovamente – e la Svizzera. Questo il sentiment degli operatori che registra anche i punti di forza dei principali concorrenti del vino italiano: Australiani e Francesi. I primi sono rappresentati da realtà dalla vasta base produttiva, vere multinazionali, dalle solide basi organizzative; i secondi sono supportati da un "sistema Paese" più efficiente di quello italiano. Entrambi i nostri concorrenti godono di una vera e propria "egemonia" nella comunicazione a livello internazionale, nei media anglosassoni, che non sempre riconoscono ai nostri vini, anche di altissima gamma, il giusto valore. Strategico diventa quindi il ruolo dei "facilitatori" dell’esportazione quali il sistema fieristico che tradizionalmente accompagna "oltre confine" i produttori, anche quelli di minori dimensione, attraverso incontri dedicati al solo business diretto, quali il Vinitaly Tour.

Misure anti-abuso d’alcol: fine alla penalizzazione del vino – Il mondo del vino non intende mettere in discussione le politiche di prevenzione e di riduzione del danno legato all’uso non corretto di bevande alcoliche e sostanze stupefacenti. Lamenta però che nell’emozione delle cd "stragi del sabato sera" e nell’urgenza di porre un freno non si è prestata attenzione nell’individuare le vere responsabilità. Si è assai speso legato al vino al concetto di abuso, trascurando i superalcolici, la facilità di acquisto di birre, alcolici e soft drinks anche da parte dei minorenni, e la diffusione degli stupefacenti nei luoghi di aggregazione giovanile. a) L’osservatorio del Vinitaly ha chiesto comunque  conto dei comportamenti dei consumatori ai responsabili di ristoranti e winebar trendsetter in Italia. Tre locali su quattro hanno registrato una contrazione nei consumi. Nel Nord si sale all’86%; nel Centro si scende al 68% e al Sud al 55%. Percentuali che si ritrovano anche nella preoccupazione da parte dei consumatori: al Nord la preoccupazione di superare i nuovi limiti di tolleranza sale al 90%, mentre al Centro-Sud si scende considerevolmente.

La riduzione colpisce soprattutto la ristorazione. – n questi ristoranti il 47% dei locali ha registrato una contrazione delle vendite compresa fra il 20 ed il 40%; nei winebar la percentuale di contrazione sale al 73% ma ha un impatto comunque minore. Soltanto un winebar su tre registra – infatti –  una contrazione nelle vendite da misure anti-alcol. b)  Come reagiscono consumatori e ristoratori alla necessità di rispettare i nuovi limiti? Cresce l’utilizzo di vino al bicchiere; nel 47% dei locali si registra la presenza di un commensale/autista che non beve; vi è un consumo più contenuto ma soprattutto vi è la richiesta di vini più leggeri: un consumatore su tre nei ristoranti; uno su sei nei winebar. I winebar appaiono in questo momento più "attivi" nel proporre nuovi servizi per i propri clienti: il 23% propone servizi si taxi navetta; il 20% la possibilità di testare il livello di alcol raggiunto e spai di "decantazione" a disposizione della clientela per attendere di rientrare nei limiti di tollerabilità.

 

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