Una recente sentenza della Corte di Cassazione porta alla ribalta un problema ricorrente, ovvero, il difficile rapporto tra imprenditori agricoli ed il fisco, soprattutto quando si parla di accertamento reddituale. Anche questa volta la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito all’applicabilità dell’accertamento sintetico nei confronti degli imprenditori agricoli. Questi sono chiamati a dichiarare ai fini Irpef il reddito agrario, espressione (seppure teorica) della redditività dell’impresa. L’imprenditore non può scegliere diversamente: deve dichiarare tramite il reddito agrario il reddito proveniente dall’esercizio delle attività agricole. Agli imprenditore agricoli, così come a tutti i contribuenti, il fisco può applicare i diversi strumenti di accertamento, tra i quali, l’accertamento sintetico.
Da sapere – Tale strumento basa le sue elementari (e diaboliche) elaborazioni partendo dai consumi e dagli investimenti sostenuti dai contribuenti, che eccedono le potenzialità dei redditi dichiarati dagli stessi. Per gli effetti “perversi” della dichiarazione dei redditi basata sui redditi fondiari (in genere relativamente molto bassi), in caso di acquisti di beni (autovetture, moto, ecc.) o di investimenti (fabbricati, terreni, quote societarie, ecc.) effettuati dal medesimo imprenditore in assenza di redditi di altra natura, è fin troppo facile per il fisco contestare la non congruità con il reddito dichiarato. Si pensi, ad esempio, ad un imprenditore titolare di un reddito agrario di € 3mila, che effettua un investimento per oltre 500 mila euro con richiesta di mutuo per 100 mila euro. Il fisco verrà certamente a chiedere all’imprenditore come ha potuto far fronte alla differenza di 400 mila euro, con “solo” € 3mila di reddito dichiarato. Ma basta molto meno, con € 3mila è sufficiente l’acquisto di un’autovettura di 30 mila per essere fuori dai parametri minimi.
Cosa fare – L’imprenditore, però, potrebbe dimostrare, con una relativa approssimazione, che con quel “reddito fondiario” riesce a produrre un reddito che gli consente di sostenere le spese per l’acquisto o l’investimento accertato. Tramite la contabilità IVA, dalla quale discende la dichiarazione IRAP, opportunamente rettificata ed integrata, ad esempio dei premi comunitari, l’imprenditore potrebbe dimostrare al fisco che era, ed è, in condizione di effettuare l’acquisto o l’investimento accertato. Molto spesso, però, per ragioni incomprensibili, l’imprenditore, a fronte di acquisti consistenti, ha dei fatturati ridicoli. Questa condizione, oltre a precludere ogni possibilità di intervento nei confronti del fisco, si presta ad ulteriori contestazioni, ad esempio, in ambito IVA. In genere il fisco prima di approntare un accertamento sintetico invia al contribuente una richiesta di informazioni dalle cui risposte, poi, spesso deriva il buon fine o meno dell’azione accertatrice. In presenza di un questionario inviato dall’Agenzia delle Entrate o in previsione di un acquisto o di un investimento consistente, magari a nome dei figli non titolari di redditi propri, è indispensabile chiedere la consulenza dei tecnici della Confederazione.
Da Dimensione agricoltura, giugno 2009