Per il grano duro “made in Italy” è ormai “profondo rosso”. I prezzi pagati ai produttori sono in picchiata (13-15 euro al quintale) e addirittura più bassi di venti anni fa, quando le quotazioni erano di 50.000 lire, pari ad euro 25,82. Un “taglio”, quindi, di quasi il 50 per cento. I produttori italiani sono ormai al collasso e oltretutto fanno i conti con costi alle stelle (più 25 per cento rispetto al 2008). Intanto, continua a crescere in maniera preoccupante l’importazione dai paesi extracomunitari, come gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, l’Australia e la Turchia. Una situazione resa ancora più drammatica da manovre speculative che stanno provocando danni irreparabili per il prodotto nazionale. Il rischio, tutt’altro che remoto, è che molti agricoltori, visto lo scenario deprimente del settore in tutte le regioni (dal Sud al Centro, dal Nord alle Isole), non procedano alle prossime semine. A lanciare il grido d’allarme è la Cia-Confederazione italiana agricoltori che chiede interventi immediati e straordinari a sostegno di un comparto che corre il pericolo di naufragare irrimediabilmente.
Prezzi in picchiata – I prezzi -afferma la Cia- sono ormai sempre più stracciati. Le ultime quotazioni (primi quindici giorni di settembre) evidenziano una flessione del 35 per cento rispetto all’anno scorso. E questo, nonostante il crollo delle produzioni registrato non solo al Sud (meno 39 per cento in Puglia, meno 40 per cento in Basilicata, meno 44 per cento in Calabria, meno 35 per cento in Sicilia), ma anche al Centro-Nord (meno 25 per cento in Toscana, meno 30 per cento nelle Marche, meno 22 per cento in Emilia Romagna). Crollo determinato sia da fattori climatici sia dell’andamento oscillatorio del mercato che ha “costretto” molti agricoltori a non seminare. A questo si aggiungono gli elevati costi produttivi e contributivi che tagliano le gambe a qualsiasi slancio imprenditoriale. Basti ricordare -sottolinea la Cia- che produrre un ettaro di grano duro costa all’agricoltore circa 900 euro, mentre i ricavi non arrivano a 600 euro. Si lavora, quindi, in perdita e certamente ciò non favorirà la prossima campagna di semine che, con questo scenario e con le sue nere prospettive, si annuncia molto difficile e di sicuro in calo rispetto al 2008, che già aveva segnato un trend decisamente negativo.
Made in Italy – La Cia è preoccupata per le gravissime difficoltà che stanno investendo pesantemente i nostri produttori di grano duro. Una situazione che diventa ancora più complessa a causa del comportamento assunto dalle industrie molitorie e della pasta che, oltre a pagare assai poco il prodotti “made in Italy”, ricorrono in maniera sempre più massiccia a produzioni provenienti da ogni parte del mondo. Un atteggiamento che rileva la scarsa considerazione degli sforzi fatti dai produttori italiani, specialmente in termini di miglioramento qualitativo. Per tale motivo, la Cia sollecita il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Luca Zaia ad aprire subito un Tavolo di confronto fra tutte i vari soggetti della filiera in maniera da sviluppare azioni condivise che permettano ai produttori di uscire da un drammatico “tunnel”.
Allarme – La Cia, comunque, ribadisce l’esigenza di approvare in tempi rapidi il piano cerealicolo nazionale, cui è legata anche l’urgenza di riorganizzare il sistema nazionale di stoccaggio. Sono anche importanti e urgenti una riforma delle borse merci, sostegni ai produttori e ai contratti di filiera, la fiscalizzazione degli oneri sociali, controlli efficaci alle dogane per rispettare le normative comunitarie in merito ai parametri qualitativi e sanitari, il mantenimento, infine, degli impegni, presi dallo stesso premier Silvio Berlusconi, per finanziare il Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali. I nostri produttori -conclude la Cia- sono fortemente intenzionati ad impegnarsi ancora nel settore puntando con sempre maggiore decisione nella direzione della qualità. Vogliono, però, solo le condizioni opportune per lavorare con tranquillità e reddito. In una parola, vogliono che sia dato il giusto riconoscimento alla loro attività, alle loro produzioni. Si attende, pertanto, una risposta, ma soprattutto fatti concreti e tangibili e non solo dagli industriali.