La pasta fatta in Toscana potrebbe essere solo un ricordo. E con essa sono compromesse le prospettive per la cerealicoltura regionale, il territorio, il paesaggio e l’ambiente, non ultima la coesione sociale, considerato che non ci sono valide alternative produttive. La denuncia arriva dalla Cia Toscana, fortemente preoccupata dalle quotazioni sempre in ribasso del grano duro: attualmente un quintale di grano viene pagato al produttore 13,80 euro, contro i 25/30 euro/quintale di 2 anni fa, e mentre un prezzo di sopravvivenza è almeno di 30 euro al quintale. "Con questi prezzi – spiega Alessandro Del Carlo, della presidenza della Cia Toscana – non si coprono nemmeno i costi di produzione, basti considerare che solo nel 2009 il crollo dei redditi degli agricoltori è stato del 25 per cento".
Numeri Italia – Tutto ciò nonostante che l’Italia sia il Paese leader mondiale nella produzione di pasta: il 50 per cento è destinato all’export, e malgrado la produzione di frumento duro sia diminuita di 2,5 milioni di tonnellate rispetto all’anno scorso, "i nostri agricoltori – dice Del Carlo -, se vogliono vendere il grano, sono costretti a rivolgersi anche al mercato zootecnico. Con la conseguenza che realizzano un prezzo che è il più basso del mondo e ricavi che coprono appena il 30 per cento dei costi di produzione. Questa situazione non è evidentemente più tollerabile. Ma per cambiare le cose, bisogna capire le ragioni di questo paradosso". Chi si avvantaggia di questa situazione? Non i produttori – sostiene la Cia – non i consumatori. L’ombra della speculazione è sempre dietro l’angolo. "Occorre rafforzare la filiera toscana – sottolinea Del Carlo della Cia Toscana -, legare quindi il prodotto al territorio di origine, e valorizzare le produzioni di qualità, per dare a chi produce un tangibile valore aggiunto in termini di reddito". Nel mondo quello del grano duro è un piccolo mercato da 30 milioni di tonnellate, di cui una parte in Asia e Africa è utilizzata per l’auto-consumo. La quota destinata alle contrattazioni di mercato riguarda un numero ristretto di utilizzatori, la gran parte dei quali sono produttori di pasta del nostro paese, dove i primi 7 pastifici trasformano una quantità che supera l’80% della produzione nazionale.
Origine – Ma siamo sicuri – si domanda la Cia Toscana – che i grani utilizzati dalla grande industria , specialmente quelli importati, sono coltivati con le stesse tecniche produttive, che sia assicurata la eco condizionalità, così come le norme sanitarie, nei diversi passaggi della filiera? Anomalie anche nelle importazioni della materia prima: stando alle produzioni, il mercato italiano era deficitario di oltre 1,5 milioni di tonnellate di frumento duro, e a inizio campagna è stato inondato da merce proveniente da paesi comunitari ed extracomunitari. Ad inizio anno, inoltre, dalla Turchia è arrivata una grande quantità di merce di bassissima qualità conosciuta da tempo come “granetto”, un incrocio tra frumento duro e tenero. Da marzo, infine, riprenderanno le importazioni dal Nord America e dal Canada.
Pericolo importazioni – "Con queste massicce importazioni – aggiunge Del Carlo – siamo passati da un mercato deficitario ad un mercato eccedentario, che ha costretto la parte agricola a chiedere al ministro dell’Agricoltura l’ammasso volontario, con il ritiro dal mercato di almeno un milione di tonnellate di frumento duro". Quella delle massicce importazioni è una pratica che snatura la qualità del prodotto e non è compatibile con lo sviluppo di un’agricoltura d’eccellenza legata al territorio. "Per questi motivi – conclude Del Carlo -, ci pare che la strada imposta dagli interessi dell’industria della pasta vada a discapito di consumatori, agricoltori e dello stesso Paese, che vede il paesaggio rurale del centro-sud andare verso un progressivo ed inesorabile degrado. Una deriva alla quale crediamo sia giusto opporsi con forza e determinazione".