Taroccavano la Chianina, scoperti 440 falsi incroci

Avrebbero commercializzato 440 capi bovini attestandone falsamente l’appartenenza alla razza chianina, ricavandone un guadagno illecito complessivo di due milioni di euro. Questa l’accusa che ha portato i carabinieri del Nas di Perugia a denunciare 91 allevatori di una decina di regioni italiane. I militari riferiscono di aver individuato certificati di inseminazione artificiale "sospetti", attestanti l’inseminazione di fattrici meticcie con seme di tori chianini. Oggi arrivano i primi chiarimenti sui capi meticci falsamente certificati chianini. Il Consorzio di tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, organismo preposto al controllo spiega la posizione dei consorziati e di quanti operano per la tutela e la salvaguardia della razza Chianina. “Oltre il 90% della produzione di chianina opera all’interno del sistema dei controlli “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale dell’IGP” – fa sapere il presidente del Consorzio Stefano Mengoli, che aggiunge – questo sistema permette di certificare, in via del tutto certa, l’appartenenza dei capi esclusivamente alla razza oltre che il rispetto delle tecniche di produzione ed allevamento previste dal disciplinare”. I 440 capi a cui fanno riferimento le indagini in corso da parte dei Nas appartengono quindi a una diversa tipologia di prodotto diversa dalla razza chianina e soprattutto lontana dal sistema dei controlli della Igp Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale. “In particolare – come spiega Mengoli – si tratta di capi frutto di incroci e non pura razza, falsamente attribuiti come paternità alla chianina e, pertanto, indebitamente etichettati con la definizione di incroci chianini”. Una situazione molto delicata che corre il rischio di mettere in ginocchio le produzioni locali, gli allevatori e l’intera filiera produttiva che ruota intorno al gigante bianco. “Questa vicenda deve ancora di più – continua Mengoli –  rendere consapevoli gli operatori della filiera e i consumatori della profonda differenza tra la certificazione IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” e la semplice etichettatura facoltativa delle carni bovine a cui i capi incriminati fanno riferimento”.

Etichettatura – Lo scandalo riapre una piaga mai rimarginata, quella dell’etichettatura e dei controlli. “Ancora una volta si evidenzia come l’unico percorso che dia concrete garanzie di controllo e certificazione sulle razze autoctone italiane sia l’Igp ”Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” – commenta Mengoli, che aggiunge – apprezziamo nel contempo l’impegno e gli sforzi che le forze dell’ordine ed i Nas in particolare, stanno attuando nella speranza che porti a risultati concreti smascherando chi esercita indebitamente riferimenti alla razza chianina”. Dal Consorzio di tutela dell’Appennino centrale arriva quindi un altolà alle generalizzazioni e un monito verso i consumatori affinché diano “maggiore attenzione alle informazioni che i prodotti portano in etichetta e a scegliere i sistemi di qualità certificata che danno ben più ampie garanzie dei normali sistemi di tracciabilità”.

EM

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