Gli italiani non rinunciano al consumo delle uova di gallina, anche in tempi di crisi dei consumi. Frittate, dolci, impanature varie e mille altri piatti e usi delle uova, fino al classico “tegamino”, ne fanno un alimento irrinunciabile. Ma per il settore non mancano i problemi: la minaccia maggiore giunge da Bruxelles, in primis per l’adeguamento delle gabbie, che rischia di mettere in ginocchio l’intero comparto, portando ad una riduzione di galline fino all’80% in Italia.
Crescono produzione e consumi – “La crisi economica che ha colpito molti settori – dice Anna Maldini, presidente di Assoavi, Associazione nazionale allevatori e produttori avicunicoli – sembra non aver toccato il nostro settore, anzi, abbiamo registrato segnali di crescita ulteriore anche nel consumo di carne avicola”. Nel 2009 infatti, secondo i dati Assoavi, produzione e consumo di carni avicole sono aumentate rispettivamente dell’1,9% e del 2%, mentre la produzione di uova ha fatto segnare un + 1% rispetto all’anno precedente. Quali sono le ragioni di queste conferme sui consumi? “Questi prodotti – afferma Maldini -, continuano a svolgere un ruolo determinante nell’alimentazione degli italiani, grazie anche alla loro capacità di coniugare gusto, sicurezza e praticità d’uso, con le esigenze economiche della popolazione”. Assoavi conta 800 associati in tutta Italia e rappresenta l’80 per cento dell’intera produzione nazionale di uova da consumo. E negli ultimi anni l’associazione si è “rafforzata” con l’ingresso di produttori nel comparto carne, con l’adesione di marchi importanti (fra cui Amadori, Martini-Cafar, Guidi, Tacchino Romagnolo, Saigi).
Il “caso” Romagna – In totale sono presenti 700 aziende, di varie dimensioni (anche non iscritte a Assoavi, ma che conferiscono il prodotto), per un totale allevamento di 81 milioni di capi annui, che diventano 168 milioni di capi considerando anche gli allevamenti di proprietà di aziende romagnole localizzate altrove. L’intensità dell’allevamento è di 92 capi per ettaro contro la media nazionale di 13 capi per ettaro. In questo territorio si producono 25 milioni di quintali di mangime, di cui la metà va al mercato estero; 3,8 milioni di quintali di carne macellata; 1 milione di uova destinati alla sgusciatura; 350milioni di uova incubate e oltre 1 miliardo e 500 milioni di uova imballate per il consumo. E’ un settore che offre occupazione a 16mila persone, per un distretto economico che vale 1,8 miliardi di euro (pari al 6,6% del PIL romagnolo) di cui 300 milioni da indotto e servizi.
La burocrazia UE ingabbia il settore – Per quanto riguarda le normative comunitarie i produttori avicunicoli italiani pensano, forse, che sia “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. “Quello che preoccupa maggiormente – sottolinea il presidente Assoavi – è da una parte l’applicazione di normative calate dall’alto dall’Unione Europea, forse spinte più da esigenze politiche che da reali motivi produttivi o sanitari; e poi constatiamo una totale assenza di politica nazionale a livello comunitario, come ad esempio le norme per il benessere animale”. Mancano secondo la presidente di Assoavi approfondimenti tecnico-scientifici in materia, inoltre “la troppa burocrazia rende praticamente impossibile riuscire ad investire nel settore, salvo prevedere tempi di almeno 1 anno per la sola realizzazione di un capannone”. La nuova direttiva sul “benessere animale” sembra una vera e propria minaccia per il settore: “Per adeguarsi alla normativa occorrono 900-1.000 milioni di euro – spiega – per riconvertire l’intero patrimonio italiano, costi che sono a totale carico dei produttori senza alcun aiuto statale e con impianti di appena 7 anni di ammortamento”. Secondo le stime dell’associazione invece solo il 15% degli impianti potrà adeguarsi alle nuove norme senza dover fare interventi strutturali; per tutte gli altri invece ci saranno costi e burocrazia da sostenere. In breve la nuova norma obbliga le aziende ad avere delle gabbie più grandi (da 550 cm quadrati a 750 cmq) entro il 2012, oltre a prevedere il nido, il posatoio, il gratta unghie, la mangiatoia di 12 cm anziché di 10 cm attuali. La situazione se non ci saranno novità appare allarmante: “Se nulla cambia – conclude la presidente Maldini – al primo gennaio 2012, l’80% delle galline prodotte in Italia e un totale di oltre 250milioni di capi in Europa, dovrebbero essere eliminati, fino a dimezzare la produzione di uova in Europa. Favorendo così le importazioni di uova extra UE, dove gli standard di benessere animale sono di gran lunga inferiori rispetto ai nostri attuali”.