Innovazione e formazione per migliorare la sicurezza in agricoltura

Macchine obsolete, attrezzature inadeguate, scarso utilizzo di mezzi di protezione, carichi di lavoro pesanti, uso di sostanze chimiche dannose: sono solo alcuni dei fattori che  rendono il comparto agricolo a rischio collocandolo ai primi posti sotto l’aspetto infortunistico, con un’alta frequenza di incidenti sul lavoro e malattie professionali. Purtroppo in Italia, dopo una prima riduzione degli infortuni dal dopoguerra agli anni ’90, nell’ultimo ventennio il fenomeno registra un aumento un po’ in tutti gli ambiti lavorativi, come denunciano con una frequenza quasi giornaliera le notizie riportate dai mass-media. Le analisi in profondità del fenomeno infortunistico mostrano che esistono contesti più a rischio di altri – le piccole aziende, alcune regioni, – così come esistono lavoratori più esposti al rischio di altri: le donne, i giovani, gli extracomunitari, i lavoratori con contratti temporanei e quelli irregolari. Ma un elemento appare inequivocabile: il comparto agricolo è quello che paga il prezzo più alto in termini di rischi per la sicurezza dei lavoratori.

Dati Inail – Secondo i dati forniti da INAIL nel 2008 le vittime in Agricoltura erano state 125, l’11% dei decessi sul lavoro registrati nel complesso delle attività (1.120). Si tratta di un valore particolarmente elevato se si considera che gli occupati in agricoltura rappresentano il 3,8%  del totale (895mila lavoratori agricoli su  circa 23,4 milioni di occupati). La proporzione indica quindi un rischio di  infortuni mortali estremamente alto, con un’incidenza tripla rispetto alla media dei lavoratori dell’Industria e Servizi. Inoltre il 2008, interrompendo il trend decrescente degli ultimi anni, ha segnato un certo aumento delle vittime (20 in più) rispetto all’anno precedente: il 95% dei decessi ha interessato uomini e dei 6 infortuni mortali femminili la metà sono avvenuti “in itinere” (cioè avvenuti durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro). Nord- Est e Mezzogiorno sono state le aree con il maggior numero di incidenti (32%). Lombardia (18 vittime), Emilia Romagna (17) e Sicilia (11) le regioni più colpite. Le cause di morte forniscono ulteriori indicazioni sulla natura del rischio di incidenti laddove, in 3 casi su 4, avvengono a seguito  di gravi traumi a carico del capo e del torace evidenziando così, nella natura principalmente traumatica degli incidenti, le difficili condizioni di sicurezza in cui si realizza la normale attività  di lavoro. Particolarmente inquietante appare, infine, la quota di decessi dovuta ad agenti infettivi e da parassiti (18%), rivelando condizioni di esposizione a diversi fattori patogeni tutt’altro che irrilevanti.

Sicurezza – Ma se la frequenza degli incidenti mortali colpisce per tutta la sua estrema drammaticità, le carenze in termini di sicurezza emergono in modo ancor più evidente analizzando i dati sulle malattie professionali in crescita dal 2001, ma mai così tanto come negli ultimi anni. Le patologie professionali in Agricoltura denunciate all’INAIL hanno, infatti,  segnato nel 2009 un aumento eccezionale: i 3.914 casi registrati sono più  del doppio di quelle denunciati nel  2008 (1.834) e tre volte quelli del  2005 (1.318) e rappresentano il valore più alto da oltre venti anni. Protagoniste principali le malattie dell’apparato muscolo – scheletrico con  2.777 denunce nel 2009, pari al 71% dell’intero fenomeno. Affezioni dei dischi intervertebrali, tendiniti, sindrome del tunnel carpale, ecc., hanno aumentato negli anni il loro peso (erano il 47% di tutte le denunce nel 2005) rispetto a malattie tradizionali come l’ipoacusia, le malattie respiratorie e quelle cutanee, tutte, peraltro, cresciute nell’ultimo quinquennio (le prime del 175%, le altre del 36%). Piuttosto che di un improbabile aumento del rischio di ammalarsi, si tratta principalmente dell’emersione di quel cronico fenomeno di sotto denuncia più volte segnalato da parte degli addetti ai lavori.

Costi per la società – Oltre al costo sociale del fenomeno – certamente l’effetto più grave – non va sottovalutato il costo economico per la collettività di un così alto coefficiente di rischio. Sempre secondo di dati forniti da INAIL in agricoltura le indennità per inabilità temporanea erogate  tra giugno 2009 e maggio 2010 sono state circa 53mila contro le 43mila dello stesso periodo nei 12 mesi precedenti. Stesso andamento per le indennità per menomazione permanente (il cosiddetto danno biologico), che passano in 12 mesi dalle 3925 del periodo giugno 2008 – maggio 2009 alle 5200 dei dodici mesi successivi. Unici dati relativamente positivi riguardano il trend delle denunce di infortunio, scese  dalle 63mila del 2006 alle 53mila del 2008.  Questa sensibile diminuzione va letta, tuttavia,anche in relazione alla progressiva diminuzione dell’occupazione nel comparto primario. Nel 2006 gli occupati nel settore primario erano 981mila e le denunce di infortunio erano 64 ogni 1000 occupati. Nel 2008 gli occupati raggiungono quota 895mila e la proporzione denunce/occupati resta sostanzialmente la stessa: le 53mila denunce di infortunio risultano 61 ogni 1000 lavoratori agricoli, con una lievissima riduzione che tuttavia non modifica il coefficiente di rischio né per quanto riguarda gli incidenti mortali né per le malattie professionali. A rendere complessa la gestione della sicurezza nel comparto agricolo contribuiscono l’ampia presenza di aziende di piccole o piccolissime dimensioni (spesso a conduzione familiare) e di molti lavoratori autonomi e stagionali (perlopiù stranieri), la sovrapposizione diffusa tra ambienti di lavoro e di vita, la prossimità tra addetti al lavoro  e  macchine in movimento.

Formazione e innovazione – Eppure l’Agricoltura ha vissuto negli ultimi anni uno sviluppo qualitativo decisamente rilevante. Se si escludono gli impatti più recenti  della crisi sull’occupazione (nel 2009 è stata tra le più colpite, con 30mila imprese costrette a cessare l’attività ed un calo della produzione del 3,8%), la leadership dell’Agricoltura italiana in Europa in fatto di qualità e tipicità si è notevolmente  rafforzata. Con circa 76.000 aziende dedicate alla produzione certificata Dop e Igp ed oltre 300.000 aziende impegnate nella produzione di vini Doc e Igt, il nostro Paese detiene il primato a livello comunitario, sia per superficie agricola utilizzata sia per numero di prodotti a denominazione di origine tutelata. Ci seguono Francia e Spagna. Le produzioni certificate Dop e Igp garantiscono da sole un  fatturato al consumo di circa 9mld di euro ed un export di circa 2mld che dà lavoro, tra attività dirette e indotto, a più di 300mila persone rappresentando una risorsa insostituibile per l’economia locale. Queste cifre non possono che far riflettere e si consolida la convinzione che i fattori di rischio per la sicurezza dei lavoratori aumentino proprio nei comparti dove c’è minore attenzione alla qualità del prodotto e dei ciclo produttivo. Purtroppo non esistono dati che ci confermino tale ipotesi, anche se gli indizi sono numerosi.  Come in altri ambiti, anche in Agricoltura risultano decisivi nella riduzione del rischio infortuni lo stato d’uso e manutenzione delle macchine, la presenza di dispositivi di protezione, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, ma soprattutto stato le competenze professionali e la formazione degli operatori,  tutti fattori che nelle produzioni certificate e di qualità  risultano indubbiamente più diffusi anche in conseguenza del ruolo che le agenzie di certificazione del prodotto svolgono nel controllo delle produzioni stesse. In altre parole  certificazione della qualità dei prodotti e sicurezza appaiono strettamente correlate e formazione, incentivi all’innovazione tecnologica, procedure di certificazione della qualità dei prodotti, oltre che ovviamente campagne di comunicazione ed informazione sulle procedure di sicurezza, rappresentano gli ambiti su cui appare essenziale sviluppare una azione incisiva da parte degli attori istituzionali competenti. Ma senza una azione altrettanto incisiva in materia di contrasto e prevenzione del lavoro irregolare difficilmente sarà possibile creare le condizione per una maggiore sicurezza per i lavoratori agricoli.

Comunicazioni e voucher contro il sommerso – Se l’implementazione della qualità delle produzioni agricole rappresenta verosimilmente un fattore di riduzione del rischio da infortuni e malattie professionali, un ambito rilevante di intervento per migliorare i livelli di sicurezza  è senz’altro rappresentato dal contrasto al fenomeno del lavoro nero che, soprattutto in alcune zone del paese rappresenta una vera e propria piaga endemica. Considerando il totale dei lavoratori occupati in agricoltura nel 2009, l’ISTAT stima che il 37% sia irregolare (con punte superiori al 50% in alcune regioni del Mezzogiorno),  una quota estremamente elevata soprattutto se si considera che nel 2000 il tasso di irregolarità era pari al 32,5%. Le recenti disposizioni in materia di Comunicazioni Uniche, che dal marzo del 2008 prevedono l’invio all’INPS delle attivazioni delle diverse tipologie di contratto per via telematica e soprattutto contestualmente all’avvio delle attività di lavoro (pena sanzioni molto pesanti), hanno indubbiamente creato le condizioni per un maggior controllo sia della regolarità dei rapporti di lavoro sia delle condizioni di sicurezza. In passato il fatto che i datori di lavoro potessero inviare le comunicazioni di lavoro entro cinque giorni rendeva spesso estremamente difficile ricostruire la regolarità dei rapporti in caso di incidente grave o mortale. Essendo inoltre le comunicazioni obbligatorie gestite attraverso sistemi telematici, la completa tracciabilità dei rapporti di lavoro facilita le funzioni di controllo da parte delle diverse autorità ispettive del Ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL. Ma anche tale innovazione rappresenta ancora solo un primo passo per garantire una maggior controllo delle condizioni di regolarità e di sicurezza. Uno strumento che, dopo la fase sperimentale avviata con successo tre anni fa, può svolgere oggi un ruolo molto significativo per ridurre i fenomeni di illegalità che incidono sul funzionamento e sullo sviluppo del sistema agroalimentare italiano e quindi garantire la regolarizzazione degli aspetti previdenziali e assistenziali dei lavoratori, è rappresentato dai voucher erogati dall’INPS. Si tratta di una particolare tipologia di rapporto di lavoro, inizialmente prevista dalla Legge n. 30 del 2003, la cui finalità è quella di “regolamentare quelle prestazioni occasionali, definite accessorie, che non sono riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario”. Con un meccanismo simili a quello dei buoni pasto, il datore di lavoro acquista un pacchetto di “assegni” versando all’Inps una somma che comprende già i versamenti contributivi e l’assicurazione in favore del lavoratore. In questo modo si offrono anche a soggetti usciti o non ancora entrati nel mercato del lavoro occasioni di impiego e di integrazione di reddito garantite dalla copertura previdenziale e contro gli infortuni agendo quindi contemporaneamente sui fattori di sicurezza e riducendo il lavoro nero. La sperimentazione promossa nel 2008 dall’Istituto di Previdenza e dal Ministero del lavoro era rivolta a studenti e pensionati da impiegare nella vendemmia e non a caso il settore vinicolo ha rappresentato il primo importante terreno di sperimentazione. Nel solo mese di agosto ne furono venduti 300mila, mentre nel giugno dell’anno successivo il numero di voucher erogati aveva abbondantemente superato gli 800mila. Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia, sono le regioni che ne hanno usufruito più sistematicamente mentre in alcune zone del Paese si registrano ancora percentuali molto basse.

Vantaggi evidenti – Il datore di lavoro può beneficiare di prestazioni nella completa legalità, con copertura assicurativa INAIL per eventuali incidenti sul lavoro, senza dover stipulare alcun tipo di contratto. Il lavoratore può integrare le sue entrate attraverso queste prestazioni occasionali, il cui compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato, ed usufruisce di una copertura previdenziale ed assicurativa. Ovviamente tale strumento – che non interessa solo l’Agricoltura ma la gran parte dei comparti produttivi e,  sulla base della normativa vigente, non è più solo ristretto a studenti e pensionati ma può coinvolgere anche altre tipologie di lavoratori – necessita di nuovi e maggiori incentivi per potersi affermare. Innanzitutto è necessaria una maggiore informazione ed accessibilità ai “buoni lavoro” ( si è parlato a lungo della possibilità di renderlo disponibile nelle tabaccherie, ma per ora nulla è accaduto) ed è necessario renderlo ancora più conveniente sia per i lavoratori che per i datori di lavoro collegando all’uso de voucher anche uno sgravio fiscale significativo per il datore di lavoro, rendendolo competitivo con il costo del lavoro nero. In altri paesi come il Belgio e la Francia (dove è impiegato principalmente per i servizi alla persona) la convenienza è stata garantita ed i risultati sono estremamente incoraggianti. In Italia ed in particolare in Agricoltura il sistema delle convenienze non è ancora tale da garantirne il successo. Ovviamente la regolarizzazione del lavoro accessorio attraverso il voucher non risolve problemi che appaiono ancora enormi e che solo con una strategia mirata che coniughi interventi di prevenzione, controllo e qualificazione del prodotto e delle risorse umane possono essere concretamente affrontati.

Alessandra Calzecchi Onesti

 

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