Si è svolta il 16 febbraio 2011 a Villa Bardini (Firenze), presso la Società Toscana di Orticoltura, una conferenza del Presidente dei Georgofili Prof. Franco Scaramuzzi dedicata alnuovo paesaggio agrario, che si è realizzato negli ultimi decenni in Toscana. Hanno svolto un intervento programmato il Prof. Agr. Francesco Ferrini, il Prof. Arch. Francesco Gurrieri, il Dott. Gennaro Giliberti della Direzione Agricoltura della Provincia e il Dott. Alberto Giuntoli direttore del Bullettino della Società Toscana di Orticoltura.
I temi – Ferrini si è soffermato sulla gestione degli alberi, una vera e propria arte con una sapiente potatura, che ha lasciato tracce ancora leggibili. Gurrieri ha suggerito un dialogo aperto in continuum, alla ricerca di possibili equilibri fra conservazione del paesaggio e la necessaria innovazione nelle attività agricole. Giliberti ha sostenuto la necessità di fermare la riduzione progressiva della SAU (superficie agricola utilizzabile) e di valorizzare il territorio, rispettando la libertà dell’impresa agricola. Giuntoli si è soffermato sulla fascia di transizione fra città e campagna, il cui paesaggio potrebbe offrire una gestione multifunzionale con benefici ambientali ed economici, anche attraverso la creazione di parchi agricoli e tematici.
Come salvaguardare il paesaggio toscano – Condividendo con Francesco Gurrieri che “una conservazione statica e immutevole delle colture produrrebbe una artificiale imbalsamazione che allontanerebbe l’economia agricola,creando le premesse all’abbandono e al vero naufragio del paesaggio”, Scaramuzzi ha concluso evidenziando la necessità di non ritardare ulteriormente la revisione delle norme vigenti (in particolare del Codice Urbani) che impongono piani territoriali e paesaggistici coinvolgenti l’agricoltura. In particolare, ha proposto: la esclusione dei paesaggi agrari dalla legislazione riguardante la tutela del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. Salvo modeste e ben definite superfici agrarie, riconosciute di particolare valore storico, da conservare attraverso l’esproprio per pubblica utilità o con appositi finanziamenti che consentano l’indennizzo per danni agli agricoltori e per garantire la continuità nel tempo della manutenzione; la prioritaria conservazione della SAU per preservarla dalla crescente urbanizzazione delle campagne, tutelando la disponibilità di superfici agricole affinché anche le prossime generazioni possano utilizzarle per l’esercizio di una agricoltura imprenditoriale libera, innovativa e competitiva, che potrà garantire la continuità di un paesaggio agrario cangiante, ma vivo ed efficiente.
L’intervento del professor Scaramuzzi – Da alcuni decenni a questa parte, l’agricoltura toscana ha dovuto subire rapidi e profondi cambiamenti e sono ovviamente mutati i suoi paesaggi. Le cause sono state molteplici e pressanti: dalle riforme fondiaria ed agraria, alla decretata fine della mezzadria, al forte esodo dalle campagne, ecc.. La nascita della Comunità Europea ha reso necessaria una forte e rapida riconversione colturale per equilibrare i vari assetti dell’agricoltura nei singoli Stati membri. Si sono susseguite diverse vicende di mercato, che hanno determinato il declino di alcune colture tradizionali e la comparsa di nuovi indirizzi produttivi. Si è registrata la generale tendenza all’abbandono delle attività agricole nelle zone di montagna ed in quelle più difficili di collina, con sensibili ampliamenti delle aree boschive. Sono state chiuse le stalle poderali, con i loro proporzionati allevamenti zootecnici. Si sono progressivamente ridotte le coltivazioni promiscue (cioè consociazioni di diverse colture sul medesimo appezzamento). La crescente carenza e rincaro della manodopera ha spinto la più intensa meccanizzazione possibile, rendendo opportuno l’ampliamento delle unità colturali e dei singoli appezzamenti. Abbiamo dovuto applicare le direttive di una politica agraria europea. Con essa, anche un set-aside (cioè mantenere incolta una parte dei campi), poi un “disaccoppiamento” (cioè il sostegno economico europeo mirato alla tutela ambientale, piuttosto che alla produttività agricola), nonché il cosiddetto sviluppo “rurale” (inteso come diverso e distinto da quello agrario) ed equivocamente considerato in vari modi nei Paesi europei. Naturalmente, vi è stato anche un rapido susseguirsi di tante e sostanziali innovazioni tecniche, a seguito del crescente progresso scientifico e del conseguente moderno sviluppo. Di riflesso, come sempre, anche i paesaggi agrari hanno subito forti cambiamenti; ma questa volta non più attraverso un arco temporale di secoli. Assai evidenti quelli avutisi nelle due più tipiche colture toscane, vite e olivo, per le quali sono stati seguiti ed assecondati due indirizzi diversi, basati talvolta su criteri opposti. Sotto la spinta di favorevoli condizioni di mercato, si è diffusa molto rapidamente una nuova viticoltura, con impianti specializzati e strutturalmente assai uniformi, che ha travolto ogni preesistente paesaggio legato alla multiforme policoltura mezzadrile. Ha finito per coprire interamente non solo i singoli appezzamenti, ma tutta la superficie di una intera azienda, estendendosi su vaste aree ormai sostanzialmente a monocoltura. Gli impianti di questi nuovi vigneti hanno richiesto notevoli lavori preparatori, con consistenti movimenti di terra, resi possibili da nuove grosse macchine conosciute dopo il loro impiego nell’ultimo conflitto mondiale. E’ stata consentita anche l’eliminazione di vecchi terrazzamenti, oltre al livellamento delle superfici irregolari lungo pendici collinari, applicando razionali drenaggi per favorire uno sgrondo sotterraneo delle acque superficiali. La viticoltura toscana si è quindi fortemente evoluta ed espansa allo stesso tempo, trasformando radicalmente il paesaggio. E’ ormai del tutto eccezionale ritrovare ancora qualche raro residuo parziale dei tradizionali filari promiscui di viti “maritate” ad alberi di sostegno.
L’altra tipica coltura toscana, quella dell’olivo, si è invece contratta, per fare spazio all’espansione viticola. Sull’olivo continua a gravare un’antica ed obsoleta legge che ne vieta l’abbattimento. A livelli regionali il divieto è stato confermato, motivandolo però con la discutibile necessità di conservare il paesaggio agrario esistente. Ma, in deroga a questa norma, l’abbattimento è stato spesso autorizzato, a condizione che si assicurasse il reimpianto di almeno un numero uguale di olivi. Questi reimpianti sono stati effettuati soprattutto per infittire oliveti rimasti troppo radi dopo la rinuncia alla loro consociazione con altre colture. Così, la superficie oggi occupata da olivi si è complessivamente ridotta, arroccandosi frequentemente sulle parti più alte delle colline, per lo più intorno ai luoghi che erano stati storicamente prescelti per insediare le residenze. Oggi, sorvolando la Toscana, è possibile rilevare come il verde dei monti e delle colline più alte sia ormai costituito prevalentemente da boschi e da residui pascoli. Più in basso vi sono vaste aree coperte da uniformi vigneti, con qualche chiazza di olivi. Nelle zone più pianeggianti vi sono campi di seminativi, incalzati dalla espansione di una variegata urbanizzazione. La massima parte degli originali fabbricati colonici è stata ristrutturata per abitazioni private, spesso dotate oggi di piscina, ma non più circondate dalle belle bighe di paglia e dalle aie vissute da animali di bassa corte. Partendo dai fondovalle, dove scorrono le principali vie di comunicazione, una rete sempre più fitta di strade asfaltate si irradia sulle colline, diffondendosi come una metastasi. Colme di macchine e di un frenetico traffico, le strade sono imbottite da costruzioni di ogni genere che si moltiplicano rapidamente.
L’attuale paesaggio della campagna toscana è quindi radicalmente mutato e sono rari i residui segni della sua civiltà contadina ormai scomparsa. E’ cambiata la realtà socio-economica, il modo di vivere e lo stesso modo di essere della popolazione. Non si può affermare che l’odierno paesaggio agrario sia peggiore o migliore di quello della metà del secolo scorso. Chi viene oggi in Toscana per la prima volta esprime grande ammirazione per l’attuale campagna ed i turisti dimostrano di apprezzare molto le residenze nei fabbricati ristrutturati per l’agriturismo. Né si potrà pretendere di conservare l’attuale nuovo paesaggio agrario, sempre con la presunzione che questo sia più bello, piacevole ed utile rispetto a quello che potrà essere ulteriormente modificato in futuro, come è sempre avvenuto. L’agricoltura, come qualsiasi altra attività produttiva, dovrà avvalersi delle continue innovazioni tecniche, necessarie per rimanere competitiva sui mercati. Cesserebbe altrimenti di esistere, perché senza reddito non possono esservi agricoltori e senza agricoltori non può esserci agricoltura.
Purtroppo, continuano invece ad essere predisposti “piani territoriali e paesaggistici”, affidati ai Comuni, con i quali vincolare le attività agricole, nella presunzione di poter indefinitamente conservare il paesaggio esistente. Basterebbe riflettere su cosa sarebbe accaduto se le attuali leggi per la tutela del paesaggio agrario fossero state emanate pochi decenni prima. Il paesaggio policolturale ereditato dalla mezzadria non avrebbe potuto resistere a fronte delle nuove ed ineludibili direttive europee oltre che alle forti sollecitazioni tecniche, economiche e sociali dettate dalle esigenze dei tempi. Bisognerebbe anche riflettere sui futuri condizionamenti che potrà ulteriormente subire ognuna delle due colture oggi dominanti, rinunciando alla pretesa di concepire i paesaggi agrari alla stregua di statici monumenti.