Riflettendo sul centocinquantenario, non c’è dubbio sul ruolo avuto dagli elementi di punta dell’agricoltura italiana nel processo di costruzione dell’Unità nazionale, specialmente se inteso come tempo di sviluppo della modernizzazione italiana. Basterebbe pensare all’opera svolta dall’Accademia dei Georgofili in Toscana, come centro di studio e di cultura, confluita nelle grandi sperimentazioni del marchese Cosimo Ridolfi a Meleto, nell’Istituto Agrario di Pisa, nelle prime meccanizzazioni dei Ricasoli. Si dovette all’Accademia se, fin dall’inizio dell’800, temi come quello della vinificazione vennero sviluppati in senso tecnico, ma analoghe questioni venivano affrontate anche nelle altre aree specializzate italiane, sempre più mettendo in evidenza, anche a fronte dei decenni di aggressione dell’oidio, specialmente l’ultimo preunitario, il bisogno di miglioramento produttivo. Simili casi di intreccio tra la proprietà fondiaria e l’impegno nella scienza agraria dettero luogo anche ad altre prestigiose organizzazioni come la Reale Accademia di Agricoltura di Torino, la Società Agraria di Bologna, il Regio Istituto d’incoraggiamento di Napoli, e altre ancora. In questo senso, il ruolo delle Accademie per lo studio di prodotti fu prezioso come lo fu anche per la diffusione di un criterio produttivo specializzato. Molte di queste esperienze si confrontarono poi nei Congressi degli Scienziati italiani che, dal 1839, furono uno degli elementi più rilevanti del processo unitario. Anche nei primi decenni postunitari, quando all’oidio si unirono la fillossera e la peronospora, lo sforzo di affrontare i problemi tecnici trovò sostenitori coraggiosi e competenti, alcuni dei quali avviati sulla strada aperta in Europa di produzione che unisse meccanizzazione, introduzione della chimica, concentrazione delle operazioni. La gamma dei problemi era vastissima. Si andava dalle questioni del commercio, in larga parte legata alla variegata situazione dei trasporti stradali, ferroviari, navali, all’estrema varietà dei contratti e delle formule produttive, alle incombenti questioni tecniche.
Agricoltura e scienza – Sempre di più l’agricoltura si raccordò alla scienza, con un grosso sforzo di penetrazione, non soltanto tra i proprietari illuminati, ma su una più ampia scala che comprendeva anche le fasce migliori della popolazione operosa delle campagne, cui una formidabile pattuglia di scienziati, accademici e non, offrì un eccezionale contributo. Affiancatesi alle Accademie di più solida tradizione, alcune Società agrarie analogamente impegnate, l’opera di diffusione dei concetti agricoli più innovativi fu straordinaria. Dalle conferenze, alla verifica condotta attraverso i campi sperimentali, ai libercoli ricchi di precetti moderni, agli studi su pubblicazioni qualificate, tutto servì a creare una cultura agricola. Ma i luoghi più specificamente dedicati furono le scuole di istruzione agraria per la formazione di tecnici, pagina di primo piano nella costruzione del giovane Stato italiano, e le Cattedre ambulanti di agricoltura, cui si affiancarono, nei primi decenni post-unitari i Comizi agrari, primi strumenti per la soluzione dei problemi economici gravanti sui produttori. Se davvero vi fu, come forse impropriamente fu attribuito a Massimo D’Azeglio, un bisogno di “fare gli italiani”, quella indicata fu una delle modalità fondamentali per l’impatto che ebbe sulla formazione di tecnici e di altre categorie del lavoro agricolo. Il problema affrontato dai Comizi agrari, unire i proprietari e i tecnici dell’agricoltura in un comune concorso al miglioramento dei territori, dando loro i primi strumenti economici consociativi, era cosa di portata europea. Era il tema affrontato, infatti, anche altrove per il miglioramento agricolo, in quella che è stata definita "fase della ricerca scientifico agronomica applicativa", secondo un modello avviato dapprima in Francia, poi, via via, in Inghilterra, in Danimarca, in Germania, in Italia, in Irlanda. I Comizi furono il perno di un’attività che, cominciata negli anni Cinquanta dell’Ottocento, fu accelerata nei decenni successivi dalla domanda crescente di prodotti e che si dovette misurare con un complesso quadro commerciale, con le tendenze protezionistiche emerse prepotentemente e con gli effetti della crisi agraria.
Dai Comizi ai Consorzi – L’incalzante tematica dei prodotti chimici legati alla specializzazione e al superamento dell’arretratezza, il rimodellarsi dei mercati, il bisogno di ampia disponibilità del credito per l’investimento e per le attività di mercato, resero necessario configurare strutture più agili e moderne. Ciò spiega il passaggio dalla formula dei Comizi a quella dei Consorzi.
Vi è un indubbio legame tra il Comizio Agrario, ricco di fermenti d’innovazione e slanciato verso il raccordo tra commercio, economia, organizzazione produttiva, e il modello di Consorzio che ne raccolse l’eredità e ne ampliò la portata. Nella stessa fase in cui l’esperienza delle Accademie e Società agrarie preunitarie si intrecciava nella costruzione di nuovi organismi di dimensione nazionale, con la costituzione dapprima della Società Generale dei Viticoltori, sorta nel 1884, poi della Società degli Agricoltori nel 1895, in parte mantenendone il tratto élitario, in parte recependo i mutamenti intervenuti nelle classi dirigenti dell’economia, il Consorzio si proponeva come cerniera del grande movimento agrario con uno scenario sociale ancor più vasto. Il progressivo ramificarsi dell’esperienza fino a coprire più o meno tutte le province costituì un apporto di primo piano al processo nazionale unitario ancora in divenire. Come il Comizio rappresentava la fase citata della ricerca scientifico-applicativa, il Consorzio fu protagonista della fase “della razionalizzazione agronomico-commerciale”, da inquadrare in un tempo nuovo di modernizzazione. Era ormai tempo di interpretare l’associazionismo dei produttori come sinergia per far fronte alle difficoltà che le imprese agricole incontravano in quel processo tanto sul fronte dell’innovazione che su quello del mercato, impostando una catena efficiente e razionale dalla produzione al commercio dei prodotti. Ciò indusse a sperimentare nuove modalità di acquisto in comune, come se ne andavano attuando anche nei paesi più all’avanguardia dell’innovazione. I Consorzi andarono assumendo un compito insieme tecnico e didattico che affiancava pragmaticamente il grande lavoro della scuola pubblica. Svolsero un’opera di formazione, acculturazione e incoraggiamento alla sperimentazione che, erede delle Cattedre, operò i prospettiva sulle classi più deboli, dai piccoli proprietari, ai mezzadri, agli enfiteuti, perfino ai braccianti, dando coraggio e stimolo a una nuova dimensione sociale dell’impresa. Consorzi come quello di Firenze, nato tra i primi nel 1889, svolsero un ruolo determinante per aree molto vaste.
La Federazione Nazionale dei Consorzi agrari – L’ulteriore salto di qualità si ebbe con la costituzione a Piacenza, nel 1892, di una cooperativa dei diversi consorzi esistenti. Nacque così la Federazione Nazionale dei Consorzi Agrari, più sinteticamente la Federconsorzi. Si può dire che allora, sul versante dell’agricoltura, si compì una tappa importante del processo unitario, sintesi del prestigioso cammino delle classi dirigenti dell’agricoltura e delle nuove emerse con lo Stato unitario. Il nucleo portante del nuovo organismo fu la messa in opera di un nucleo commerciale e tecnico di grande solidità, specchio della parte più attiva e concreta della élite che, dal versante agricolo, partecipava al patrimonio politico e culturale della classe dirigente italiana, rappresentata allora dalle diverse anime del liberalismo più sensibili alla risoluzione avanzata dei problemi economici, sociali e produttivi del Paese. Tutto questo ebbe per corollario un effetto certamente non secondario sullo sviluppo dell’industria , perché la domanda qualificata di fertilizzanti, anticrittogamici, sostanze nutritive, macchinari, fu un fattore primario di crescita nel decollo economico che riguardò il Paese, specialmente a partire dalla fine dell’Ottocento e i primi del nuovo secolo. La Federconsorzi, come espressione del mondo agricolo più avanzato divenne da allora uno dei punti di riferimento fondamentali del sistema Italia. La collocazione al centro del sistema commerciale tra le grandi dimensioni del commercio interno e internazionale e la sfera non meno strategico del mercato territoriale, tra la produzione e il consumo, tra le diverse reti di vendita, ne fece un ganglio insostituibile dell’articolazione economica. Tutta la storia del Novecento illustra questo ruolo fondamentale nelle diverse dimensioni della contrattazione interna all’agricoltura, tra l’agricoltura e l’industria, tra il settore primario e il commercio, anche al di là delle fasi più difficili e delle crisi che ne segnarono l’esistenza alla fine degli anni Ottanta. Ma, se nell’esperienza dei Consorzi, come si vede analizzando il cammino storico dell’agricoltura italiana, si riflette uno degli assi portanti della costruzione e della vita dello Stato unitario, al passaggio dei 150 anni quell’esperienza costituisce un fondamento basilare nella progettazione del presente e del futuro perché, nello sviluppo della moderna filiera agro-alimentare, vi sia raccordo tra il sistema Italia nei suoi aspetti produttivi più vitali e il più ampio scenario della globalizzazione.
Fabio Bertini
FABIO BERTINI: Dottore di ricerca in Storia della Società Europea, Allievo della Scuola Storica dell’Istituto Storico per l’Età moderna e contemporanea di Roma, Professore Associato di Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dal 2004, Presidente del Comitato Livornese per la Promozione dei valori Risorgimentali. Redattore capo della rivista “Rassegna Storica Toscana”, componente del Comitato scientifico della “Rivista di Studi Politici Internazionali”, componente della Redazione di “Ricerche Storiche”, curatore scientifico dell’Archivio Giuseppe Vedovato. Ha scritto, tra l’altro, Nobiltà e finanza (Firenze, 1989); Michele Giuntini. La carriera di un banchiere privato (Firenze, Olschki, 1991); La Confederazione degli agricoltori dal 1930 alla repubblica di Salo’, in Storia della Confagricoltura (a cura di S. Rogari, Bologna, 1999); Nazioni e nazionalismi nel XIX secolo (Milano, 2000); Organizzazione economica e politica dell’agricoltura nel XX secolo. Cent’anni di storia del Consorzio agrario di Siena (Bologna, 2001); Risorgimento e Paese reale (Firenze, 2003); Le parti e le controparti (Milano, 2004); La Democrazia europea e il laboratorio risorgimentale italiano (Firenze, 2006); Risorgimento e questione sociale (Firenze, 2007); Gilliatt e la piovra. Il sindacalismo internazionale dalle origini ai nostri giorni, 1776-2006 (Roma, 2011) . Ha scritto, per i suoi corsi, Risorse conflitti continenti e nazioni (Firenze, 2006).