Meno grano sulle tavole degli italiani. Il maltempo e i costi produttivi alle stelle hanno ridotto le superfici coltivate a frumento duro nel Belpaese e la conseguenza nel 2011 sarà evidentemente il maggior ricorso alle importazioni per soddisfare i fabbisogni dell’industria molitoria. Con nuove penalizzazioni per i produttori nazionali. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori analizzando i dati Ismea, secondo cui le condizioni climatiche sfavorevoli, determinate dalla persistente piovosità, hanno ostacolato il regolare svolgimento delle operazioni di semina tra novembre e gennaio. Portando a un calo complessivo delle semine di grano duro pari al 10 per cento annuo.
I numeri – Ma non è stato solo il maltempo a condizionare gli agricoltori -spiega la Cia-. I costi produttivi in costante aumento (più 4,4 per cento a gennaio, di cui più 6,4 per cento solo per i carburanti) hanno portato gli imprenditori del settore a scelte drastiche: come evidenzia l’Istat, infatti, nelle intenzioni di semina 2010-2011, c’è stato un netto rialzo (pari al più 19,1 per cento) dei terreni lasciati a riposo. E la decisione di non seminare è dipesa proprio dal fattore costi, soprattutto visto che oggi i prezzi di mercato, caratterizzati da una crescente volatilità, non riescono a compensare gli oneri da fronteggiare. Tanto più nell’ambito dei cereali, dove -nonostante gli aumenti di listino- il prezzo di grano duro e grano tenero pagato agli agricoltori italiani resta tutt’ora tra i più bassi del mondo.
Crescita delle importazioni – Il calo delle semine di grano duro porterà, quindi, a una crescita delle importazioni dall’estero – avverte la Cia – dopo un 2010 già da record. L’anno scorso infatti l’import di questo cereale ha toccato i 2,3 milioni di tonnellate, il livello più alto dal 1991. Un volume corrispondente a poco meno del 50 per cento dei fabbisogni dell’industria molitoria italiana, che annualmente trasforma attorno ai 5,2 milioni di tonnellate di grano duro destinato alla produzione pastaria.
Le preoccupazioni – L’ulteriore probabile incremento dell’import nel 2011 desta però molta preoccupazione -continua la Cia- perché si ridurrà sempre di più la componente nazionale in un prodotto leader del “made in Italy” com’è la pasta. Un prodotto che è il fiore all’occhiello del nostro sistema agroalimentare, come dimostra la nostra posizione di primo produttore mondiale di pasta con quasi 3,2 milioni di tonnellate, delle quali oltre la metà è destinata all’estero. L’Italia rappresenta il 26 per cento circa della produzione planetaria e il 75 per cento di quella europea.
Valorizzare le materie prime – Ecco perché oggi è necessario attivarsi per invertire la tendenza – conclude la Cia – a partire dalla valorizzazione della provenienza delle materie prime del “prodotto pasta”. Ma per fare questo servono nuove politiche, che tutelino innanzitutto i produttori nazionali di grano duro alle prese con prezzi niente affatto remunerativi. E soprattutto occorre andare avanti al più presto con il Piano cerealicolo nazionale, che può essere uno strumento importantissimo per rilanciare il settore. In questo senso pesa ovviamente il ritardo ministeriale per la pubblicazione del bando, atteso dagli operatori ormai da troppo tempo ma mai annunciato ufficialmente.