Mai come quest’anno le cantine italiane giungono al “Vinitaly” da superstar, potendo contare su cifre e numeri da record. Per il vino tricolore, infatti, il 2010 è stato più di una “buona annata”: la performance eccezionale dell’export non solo ha tirato il settore fuori dalla crisi, ma ha contribuito più di tutti a contenere il passivo della bilancia commerciale del Belpaese. Dimostrando di essere uno dei prodotti più “internazionali” dell’economia italiana. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, in occasione della prossima edizione del “Vinitaly”, che aprirà ufficialmente i battenti il 7 aprile a Verona.
I numeri del 2010 – Dopo un biennio difficile in cui l’aumento dei volumi esportati era avvenuto a discapito del fatturato e del prezzo medio delle bottiglie -ricorda la Cia- il 2010 si è chiuso con un giro d’affari che ha sfiorato i 4 miliardi di euro sui mercati oltreconfine, pari a un incremento in valore del 12 per cento, ovvero il massimo di sempre. Si tratta di 22 milioni di ettolitri di vino e oltre 2,5 miliardi di bottiglie “made in Italy” vendute in tutto il mondo, un quantitativo che anno su anno ha fatto registrare un rialzo dell’11 per cento, controbilanciando per un verso il calo degli acquisti sul fronte interno. Ma la vera novità del boom dell’export riguarda i Paesi di destinazione -spiega la Cia-. Nel 2010 non sono cresciute soltanto le quote esportate nei mercati tradizionali, come Germania (più 16,3 per cento) e Stati Uniti (più 14,4 per cento), anzi. Un ruolo centrale alla crescita delle esportazioni vinicole è stato giocato dalle potenze emergenti racchiuse nel Bric: in un anno la domanda di bottiglie tricolori è salita del 69 per cento in Russia, del 54 per cento in Brasile e del 145 per cento in Cina.
L’importanza della promozione – Ecco perché ora la parola d’ordine deve essere “promozione”. Il successo del nostro vino all’estero -osserva la Cia- va pubblicizzato, valorizzato, incentivato. Ora basta muoversi in ordine sparso, col rischio di duplicazioni e sovrapposizioni, serve una strategia unitaria che assicuri l’efficacia delle azioni di promozione del vino “made in Italy”, nell’ottica di radicarsi nei mercati già esistenti ma anche di trovare nuovi sbocchi dove esportare. Questa però è solo una delle sfide che il settore vitivinicolo deve affrontare -prosegue la Cia-. Non basta recuperare nuovi mercati all’estero, bisogna anche trovare nuovi consumatori “in casa”.
Il consumo procapite – Dal 1995 al 2009, infatti, il consumo pro capite di vino in Italia è passato da 55 a 43 litri, “perdendo” per strada ben 12 litri. Solo nel 2010 le vendite sul mercato interno, soprattutto sul fronte del prodotto sfuso, sono calate tra il 2 e il 3 per cento. E la colpa sta in parte nella facile “criminalizzazione” del prodotto, che ha portato a confondere il consumo di vino (che, se bevuto con moderazione e regolarmente, fa bene alla salute, come confermano recenti studi scientifici) con l’abuso di alcool. Infine -conclude la Cia- non si può ignorare il fatto che non tutti gli attori della filiera vitivinicola raccolgono gli stessi risultati dalle performance positive del settore. In questo senso, a soffrire di più è il primo anello della “catena”, costituito dai produttori di uva. Fatto 100 il prezzo di vendita finale di una bottiglia, solo meno del 15 per cento va nelle tasche del produttore. Per questo ora è necessaria una nuova e più efficace politica che corregga il malfunzionamento del mercato. Due le leve principali su cui agire: una maggiore aggregazione di filiera e relazioni più strette con la Grande distribuzione organizzata (Gdo), che ormai detiene oltre il 50 per cento della commercializzazione di vino in Italia.