La Pasqua porta sulle tavole degli italiani i salumi della tradizione. A seconda delle regioni, variano le tipologie: si va dall’immancabile salame corallina consumato principalmente a Roma, alla coppa-capocollo delle regioni del centro e sud Italia, al salame filzetta in Brianza, eccetera.
La tradizione – Una consuetudine radicata nella cultura alimentare del Belpaese che arriva da lontano: già dal Medioevo, mentre l’addio prequaresimale alla carne (il Carnevale) era celebrato con salsicce o fette di salame cotte nel vino bianco, il giorno di Pasqua si tornava a consumare, dopo quaranta giorni, quei salumi che, in primavera, raggiungevano il perfetto grado di stagionatura. Con la tradizionale macellazione invernale del maiale (che avviene dal giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, a quello di Sant’Antonio, il 14 gennaio), infatti, si ottenevano salumi che avevano periodi di stagionatura diversi, da pochi mesi dei salami cacciatori ai 12/18 mesi dei prosciutti crudi.
Un periodo particolarmente propenso per questo tipo di consumi – Il periodo Pasquale, tra la fine di marzo e la fine di aprile, era il periodo perfetto per consumare proprio il salame e la coppa o capocollo, questi ultimi due salumi molto simili (derivano dallo stesso taglio del maiale) il cui nome varia nelle diverse regioni (coppa al nord, capocollo al centro-sud). Questi prodotti della salumeria italiana, infatti, necessitano di una stagionatura di 3/4 mesi. Ancora oggi la tradizione si perpetua e i numeri danno la conferma: rispetto all’anno scorso si prevede che i consumi dei salumi della tradizione (salame, coppa e capocollo) aumenteranno dell’1,5%, con un quantitativo di 13.350 tonnellate per un valore alla produzione di oltre 13 milioni di euro, che al consumo si attesteranno attorno ai 26 milioni di euro. (Dati ASSICA – Associazione Industriali Carni).
In allegato i dati forniti da Assica