«La ricerca in agricoltura consente la competitività, e ovviamente il reddito degli agricoltori». Lo sottolinea il professor Marco Gobbetti, presidente dell’Associazione italiana società scientifiche agrarie (Aissa), ovvero l’associazione che riunisce tutte le società italiane di ricerca in agricoltura.
Professor Gobbetti, qual è la situazione della ricerca in agricoltura in Italia?
La situazione della ricerca nel settore agrario riflette lo stato di salute della ricerca in Italia, con delle peculiarità: da un lato emergono alcune criticità legate alla difficoltà di reperire fondi e agli scarsi finanziamenti destinati. Va poi ricordato che i ricercatori che operano nel settore agrario, – ma d’altronde come tutti gli altri ricercatori italiani -, hanno usufruito dei progetti PRIN, bando 2009 solo nel 2011, quindi non bisogna dimenticare che è stata saltata una tornata di finanziamenti. Ci siamo accorti di questo, purtroppo è una situazione che riflette l’ambito generale. Da sottolineare poi una difficoltà complessiva per quanto concerne il sistema di attribuzione dei fondi, di valutazione dei programmi. Insomma, la situazione è estremamente critica.
Cosa può essere fatto?
Ricerca e ricercatori devono essere valutati secondo un sistema meritocratico, la ricerca anche nel campo agrario deve essere soggetta a valutazioni anche su indicatori bibliometrici accettati dalla comunità scientifica internazionale. Un problema che riguarda i ricercatori, che riguarda il miglioramento della ricerca. E poi dobbiamo enfatizzare l’aspetto del trasferimento tecnologico: i risultati della ricerca devono essere trasferiti agli operatori del settore, sia a livello nazionale che regionale attraverso apposite strutture che favoriscono il trasferimento e l’accesso ai risultati della ricerca alle imprese. Bisogna fare una distinzione fra la grande impresa, tutto sommato attenta ai risultati della ricerca, e che spesso commissiona parte della ricerca interna; e la piccola e media impresa per la quale le strutture di collegamento sono distanti. Altro aspetto emerso riguarda le produzioni tradizionali, tipiche, con una propria denominazione: questi elementi devono trasformarsi in un valore aggiunto e non in una costrizione della realtà produttiva, che piuttosto che valorizzare le produzioni stesse vanno a finire a penalizzare alcune realtà produttive. Il concetto di qualità è importante, non così tout court, ma va reso esplicito secondo le diverse accezioni. Anche nel senso di valorizzazione della qualità nutrizionale, della qualità di servizio e sensoriale.
Mancanza di fondi per la ricerca: l’Aissa a chi potrebbe fare un appello?
Ci si è resi conto che è molto importante fare sistema. Aissa racchiude tutte le società scientifiche agrarie quindi anche tutti i ricercatori (quasi 4mila in Italia), che sono parte integrante dell’associazione. È emersa la volontà di fare sistema, di presentare progettualità integrate, e gli interlocutori sono le istituzioni, sia a livello nazionale (Miur e Mipaaf), oltre al livello regionale. Bisogna entrare nella forma mentis di accedere anche ai finanziamenti europei, quindi maggiore attenzione alle forme di finanziamento che non siano nazionali. Aissa è un’associazione senza scopo di lucro che non dispone di fondi ma che cercherà di fare sistema per interloquire con le istituzioni preposte. Dobbiamo far presente la situazione attuale di difficoltà. Nessuno vuole una distribuzione a pioggia di fondi, tutti i ricercatori accettano una seria valutazione, il problema è che la ricerca va sostenuta, questo stato di incertezza crea insicurezza nei ricercatori, soprattutto nei giovani. E’ necessario fare in modo che alcune linee di ricerca avviate, non vengano necessariamente interrotte per mancanza di fondi. Dico tutto questo sia come presidente Aissa ma anche come ricercatore.
Dalla nuova Pac, che verrà presentata a breve, che cosa vi aspettate?
La nuova Pac desta grandi attese. L’aspetto importante è che noi ricercatori dobbiamo farci trovare pronti per rispondere ai paletti che saranno fissati dalla nuova Politica agricola comune; per quel tempo dovremmo aver già formato una squadra con idee chiare e competitive. Quella del trasferimento tecnologico è auspicata da più parti come la terza missione dell’Università; per l’Università si auspica in questo momento non solo formazione e ricerca, ma anche trasferimento tecnologico, che vuol dire trasferire ad una realtà produttiva i risultati della ricerca.