L’Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, sia per la frequenza dei terremoti che si sono succeduti nel corso degli anni che per l’impatto sociale ed economico che hanno avuto nel tempo. Un trend dal quale non è rimasta incolume nemmeno la Toscana che dalla fine della guerra al 1989 conta 446 morti in 51 eventi, dal 1990 al 2001 58 vittime, 9 dispersi, 15 feriti, oltre 2000 senzatetto, circa 2500 sfollati.
Dati allarmanti che trovano drammatiche conferme nell’incremento della media di vittime per anno, e il ridotto numero di feriti, senza contare i disastri mancati: la rotta del Serchio a Migliarino del natale 2009 e il cedimento di un pezzo dello sfioratore della Diga di Montedoglio, il 30 dicembre 2010. La Toscana è una terra dal grande fascino ma anche dalla grande fragilità. E le statistiche diffuse dall’Ordine dei Geologi lo confermano.
Circa l’80% del territorio, infatti, è a rischio sismico. Su287 comuni, 196 hanno i propri territori, che ospitano il 70% degli edifici pubblici e privati dell’intera regione nelle fasce più pericolose. Per le aree a rischio idrogeologico la Toscana segue con 2.709 kmq, pari all’11,8% del territorio, Valle d’Aosta, Campania, Emilia Romagna, Molise. Lucca guida, con il 31% di aree a rischio, la classifica italiana delle provincie. Sul fronte frane, ancora Lucca primeggia con il 23% del territorio ad alto rischio potenziale; Livorno, con il 19,3% del territorio, è capolista nazionale in tema alluvioni.
E il territorio trascurato, di solito, oltre alla mancanza di gestione nella prevenzione sono tra le principali cause di tragedie. Il Disegno di Legge 2644 “Misure urgenti in materia di gestione e prevenzione del rischio idrogeologico” in discussione in Parlamento ne sottolinea tutta l’urgenza.
Il disegno di legge, infatti, prevede la costituzione di nuovi organismi di controllo per le zone a rischio di dissesto idrogeologico, in affiancamento degli strumenti previsti dai piani di protezione civile. E’ prevista la costituzione del presidio idrogeologico permanente, dove sono contemplati tecnici che tengono monitorate zone ad alto rischio. «Il governo del territorio e la sua sicurezza sono da decenni problemi aperti e non risolti nella realtà italiana – spiega ad agenziaimpress.it il presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali Andrea Sisti impegnato in prima persona su questa emergenza –. Nell’ambito del disegno di legge sarebbe opportuno valorizzare gli aspetti di pianificazione legati al paesaggio e alle politiche di incentivazione agricola, con ricadute dirette sull’agricoltura. Sono gli agricoltori, infatti, che possono fare il primo controllo sul territorio del dissesto». Del resto andrebbe superato l’approccio delle emergenze e privilegiato quello della prevenzione. Solo così sarebbe possibile ridurre i costi delle conseguenze del dissesto idrogeologico con il coinvolgimento diretto delle popolazioni locali nella governance dei territori, compresi gli agricoltori ma anche i cittadini, che devono entrare nella visione che i servizi eco-sistemici sono un bene irrinunciabile e di tutti, ma che al giorno d’oggi hanno un valore non trascurabile e anche monetizzabile.
I piccoli interventi (come una pulizia dei fossi e sistemazione piccoli dissesti) in alcuni casi, possono essere fatti direttamente dagli agricoltori locali (anziché per esempio dalle Comunità montane), con un costo per la collettività enormemente più basso, passando eventualmente attraverso una adeguata formazione e attraverso adeguate risorse messe a disposizione dagli strumenti della politica agricola.
I grandi interventi, naturalmente, devono restare a carico delle amministrazioni territoriali ; ma fondamentale è che vadano nella direzione della prevenzione esercitata anche per lunghi periodi per permettere al sistema di eco-sistemi di avere la capacità di assorbimento dei fenomeni eccezionali impedendo costosi danni al territorio.