L’Italia è un paese agricolo di nascita. E dal 1861 a oggi la sua storia si intreccia continuamente con le trasformazioni del settore primario, tanto che anche adesso, dopo 150 anni, la ruralità è parte integrante del nostro “corredo genetico”. È per questo che nel convegno “L’agricoltura nei 150 anni dell’Unità d’Italia”, svoltosi oggi a Montecitorio alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini, la Cia-Confederazione italiana agricoltori ha voluto raccontare l’Italia attraverso la vita nei campi. Nell’evoluzione del mondo rurale italiano -ha affermato il presidente nazionale della Cia Giuseppe Politi, intervenendo al convegno- sono scritti tutti i più importanti cambiamenti economici, sociali e territoriali del nostro Paese: dalle lotte per la terra alla nascita delle organizzazioni contadine, dai rapporti feudali alla conduzione diretta, fino al passaggio da società rurale a industriale e alle trasformazioni degli assetti produttivi, del paesaggio agrario e dell’uso del territorio”.
Ruralità – Le tradizioni e i modelli sociali della ruralità – spiega la Cia – hanno lasciato il segno nella nostra società, mentre la progressiva marginalizzazione di questo settore, una volta davvero primario nell’economia italiana, racconta perfettamente il suo radicale mutamento. E oggi “la più grande sfida per la nostra agricoltura -ha detto il presidente della Cia- è trovare la strada dello sviluppo senza disperdere la propria identità sociale e culturale. Quindi rimodellare la struttura dell’impresa secondo le mutate esigenze del mercato, senza perdere la ricchissima eredità delle nostre tradizioni agricole, che continuano a costituire il valore aggiunto della nostra agricoltura, e quindi un’eredità unica da valorizzare, non solo per il suo spessore culturale, ma soprattutto per le potenzialità economiche”. Gli agricoltori italiani sono depositari di una cultura e una conoscenza che possono fare la differenza rispetto ai nostri competitor. Ed è per questo che “la Cia – ha continuato Politi – si è sempre impegnata in questa doppia direzione: da un lato lo la competitività e dall’altro la tutela dei saperi antichi che oggi rendono unico il ‘made in Italy’ agroalimentare nel mondo. Un patrimonio che, però, va continuamente aggiornato se non si vuole che una grande ricchezza si trasformi in un handicap di fronte alle esigenze dell’economia moderna”.
Contributo – Nel convegno a Montecitorio, quindi, la Cia ha deciso di dare un ulteriore contributo alle celebrazioni per l’Unità d’Italia dopo la Festa nazionale dell’Agricoltura che si è svolta a settembre a Torino. E questa volta ha deciso di farlo “riscrivendo” la storia del Belpaese dal proprio punto di vista, e costruendo un affresco nuovo di questi 150 anni visto da quattro punti di vista fondamentali, affrontati da altrettanti interventi di alto valore scientifico. Con la relazione del professor Adolfo Pepe dell’Università di Teramo è stata approfondita la storia delle organizzazioni agricole, mentre il professor Augusto Marinelli dell’Università di Firenze è intervenuto sulle “trasformazioni delle strutture e le politiche agrarie”. La professoressa Maria Cristina Treu del Politecnico di Milano si è soffermata sulla storia dell’evoluzione del paesaggio agrario, che ha continuamente ridisegnato il volto dello Stivale. Infine, la relazione del professor Sergio Givone dell’Università di Firenze ha approfondito un tema più specifico: “dalle trasformazioni idrauliche al riso nella storia d’Italia”. Ha presieduto i lavori il presidente nazionale della Cia Giuseppe Politi.