Informatizzano, pianificano, rispettano l’ambiente, comunicano più dei loro padri, ma soprattutto sono in grado di aprirsi autentiche autostrade commerciali verso l’estero. Sono i figli, e le figlie, dei grandi viticoltori italiani alle prese con un cambio generazionale decisivo per l’intero settore. Vinitaly ha fotografato il primo vero passaggio generazionale che stanno vivendo le family business vinicole dell’età moderna – da quando cioè il vino italiano è diventato voce decisiva del Pil agroalimentare – attraverso una ricerca qualitativa commissionata all’Ispo e presentata da Renato Mannheimer nel corso della degustazione di Civiltà del Bere-Vinitaly ‘Di padre in figlio – Il passaggio generazionale nelle grandi famiglie del vino’.
Lo studio – L’indagine, compiuta attraverso interviste a genitori e figli di 6 tra le principali imprese familiari del vino italiano e a 4 economisti (Guido Corbetta, Università Bocconi; Claudio Devecchi, CERIF- Università Cattolica; Carlo Carboni, Università Politecnica delle Marche; Salvatore Carrubba, Iulm), rivela vantaggi e debolezze di un valore familiare d’impresa che nel vino trova uno dei suoi principali alleati, con gran parte del fatturato annuo (10mld) in dote ad aziende storiche. In un Paese epicentro del family business (secondo l’omonima rivista americana, nel mondo 6 aziende familiari tra le 10 più anziane sono italiane), la ricerca dimostra come quello del vino sia il settore dove più sono convogliate le positività del fenomeno. «Gli economisti intervistati – ha detto Renato Mannheimer – ritengono il comparto una sorta di eccezione che si distingue da tutti gli altri settori in modo molto positivo. Se infatti in generale con la generazione dei figli si perde coraggio, abilità e spirito di sacrificio, nel comparto vinicolo prevalgono saggezza, buon senso e continuità. Specie le donne, che oggi rappresentano una voce sempre più autorevole del business enologico, sono molto apprezzate per artigianalità, autenticità e creatività». Non mancano però, secondo gli economisti, alcuni limiti, individuati soprattutto nel rischio storico di avere una proprietà forse troppo invadente e onnipresente, con pochissime deleghe lasciate ai manager esterni.
I commenti – Dalle interviste ai protagonisti emerge la positività del passaggio in corso tra i vecchi ‘patriarchi buoni’ e i nuovi ‘manager con l’anima’ che non vogliono entrare in Borsa, ma anche la complessità del fenomeno in atto. Dietro a frasi del tipo ‘Papà dice che le aziende o crescono o muoiono. E noi siamo tutti d’accordo’ si nascondono, in realtà, dinamiche interiori che determinano una sorta di sfida naturale tra le due generazioni. Più sereni, e romantici i padri, che hanno ‘tracciato la strada’, più ‘stressati’ invece i figli, la cui ‘investitura’ è in alcuni casi anche ‘drammatica’. Ma a decretare il successo finale del cambio – che è comunque basato su identità e valori comuni – sono gli economisti: ‘I padri hanno inventato il prodotto, i figli sanno commercializzarlo’ ma anche i padri, secondo i quali ‘I ragazzi hanno aperto le finestre e fatto circolare aria nuova’; e ‘I figli hanno visione internazionale, sono a casa in tutto il mondo’. Per Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere: “Il successo d’impresa delle famiglie italiane del vino è anche il successo di Vinitaly. La svolta, in corso, del passaggio generazionale e la crescente esigenza di internazionalizzazione hanno influito sul nuovo concept di Vinitaly, sempre più business oriented a partire dalla nuova collocazione in calendario e dall’incremento delle presenze professionali internazionali”.