Da cenerentola dell’enologia italiana a regina delle carte dei vini, tanto da meritare un Osservatorio ad hoc. Parliamo della tipologia enoica rivelazione del Vinitaly 2012, i Rosati, e dell’idea lanciata oggi dall’assessore alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, Dario Stefàno, nel corso di “Il futuro è rosa… anzi rosato”, dibattito che ha avuto luogo a Vinitaly. Moderato da Gioacchino Bonsignore, curatore della rubrica Gusto del TG 5, l’incontro ha visto tra i suoi protagonisti insieme all’assessore Stefàno e al presidente Nichi Vendola, Antonio Calò, presidente dell’Accademia della Vite e del Vino, Davide Gaeta, dell’Università di Economia di Verona, e il noto sommelier Alessandro Scorsone.
La crescita – “I dati al consumo a livello nazionale sono in crescita a fronte di una contrazione diffusa dei consumi – ha confermato l’Assessore Dario Stefàno – e tra gli addetti ai lavori c’è la netta percezione di enormi possibilità di sviluppo per i vini in rosa. Non a caso la nostra regione ha ideato e organizzato il Primo Concorso nazionale dei Vini Rosati, che a breve entrerà nel vivo. E non si tratta di un concorso estemporaneo, frutto di un’operazione di marketing bensì nasce da un percorso virtuoso che vogliamo condividere con tutte le regioni, confrontandoci con chi è più avanti di noi”. Il 6 aprile scadranno le iscrizioni per l’invio dei campioni che verranno giudicati il 20 e 21 aprile prossimi a Bari. La cerimonia di premiazione, invece, è programmata il 5 maggio prossimo a Otranto nel corso di un convegno internazionale al quale ha già assicurato la sua presenza il ministro Catania.
I rosati pugliesi – La Puglia, insomma, protagonista indiscussa, vista la leadership quantitativa e qualitativa nel comparto dei rosati: “Oltre il 40% della produzione va in effetti localizzato nella nostra regione – ha sottolineato Stefàno – ma voglio ricordare come i rosati, per storia e tradizione, siano presenti in quasi tutto il territorio nazionale. E sono moltissime le denominazioni che includono nei loro disciplinari la tipologia rosato. Un motivo in più per puntare con sempre maggiore convinzione sui rosati italiani”. Durante l’incontro è stato ricordato il tentativo, di appena qualche anno fa, dell’Unione Europea di cambiare le regole di produzione dei vini rosati autorizzando la miscela di rossi e bianchi, vicenda nella quale la Puglia ha svolto un ruolo determinate nel bloccare l’iniziativa che avrebbe mandato in polvere una tradizione produttiva millenaria. Da qui, prima l’idea del Concorso dedicato ed ora quella di avviare la costituzione di un Osservatorio nazionale in chiave allargata, con tutte le regioni italiane, il Ministero delle Politiche Agricole e i privati. Il progetto è quello di costituire una Fondazione pubblico-privata come presidio per la tutela e valorizzazione dei vini rosati.
Per il futuro – “Ne ho già parlato con il ministro Catania che condivide appieno il progetto. L’idea – ha concluso Stefàno – è quella di fare diventare soci promotori della fondazione tutte le Regioni italiane che condividano le finalità. Senza dimenticare la collaborazione delle varie associazioni del settore (Onav, Ais, consorzi, Movimento turismo del vino, Slow food) e degli stessi produttori, con cui condividere le attività da svolgere a favore dei vini rosati. Inoltre l’Osservatorio si doterà di un comitato scientifico che guiderà anche i processi di ricerca ed innovazione sul prodotto”. A questa tipologia enoica che ultimamente si è imposta al grande pubblico ed ha come caratteristica principale quella di essere diffusa da Bolzano ad Enna, manca però un supporto statistico, un monitoraggio del consumatore-tipo. L’Accademia della Vite e del Vino, per colmare la lacuna sta conducendo una ricerca per tracciare un profilo del consumatore di rosati, nonché i principali fattori che spingono alla scelta e all’acquisto di questa tipologia. I primi dati, come ha dichiarato in conferenza il presidente Antonio Calò, confermano grande ottimismo. “Le cose stanno effettivamente cambiando – ha spiegato l’autore della ricerca, Davide Gaeta – e dai dati in nostro possesso emerge non solo una crescente attenzione verso i rosati ma, soprattutto, si ha la sensazione che, anche dal punto di vista del business, quella dei vini in rosa sia una strada tutta da percorrere”.
Liason tra rosati e alta ristorazione – “Finalmente i rosati stanno trovando diritto di cittadinanza anche nelle carte dei grandi ristoranti – ha spiegato Alessandro Scorsone, sommelier e volto televisivo -. In passato sono stati a lungo bistrattati ma bisogna dire con onestà che non c’era una grande qualità. Ora le cose sono cambiate ed in Italia siamo fortunati perché possiamo vantare rigidi controlli e una pulizia delle cantine che non troviamo altrove. Il rosato, con la sua struttura può supportare una serie infinita di cibi. Ricordo che il vino non deve dissetare ma allietare le papille gustative e quando lo si assaggia in realtà si assaggiano le regioni e la filosofia dei loro produttori”. In un quadro idilliaco di crescita e sviluppo in tema di rosati ha fatto da contraltare il monito del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. “L’agricoltura rischia di morire – ha dichiarato Vendola – il territorio rurale è stato per lungo tempo oggetto di un’attività marginale che è preludio di disastro ecologico. Per questo oggi è un settore in affanno ed è ancora vissuto, da molti, come una fabbrica decotta che fa fatica ad attrarre le nuove generazioni. Se pensiamo che l’età media dei produttori è vicina ai 65 anni dobbiamo domandarci come si possono attirare le nuove generazioni nelle campagne. La risposta è attraverso la ricerca, le università, l’innovazione, seppellendo il localismo e investendo sul prodotto, facendolo risplendere raccontandolo. Occorrono pensieri innovativi come quelli che hanno fatto diventare protagonista il vino rosé. La parola innovazione in agricoltura è ambigua ma, a volte, può significare riscoperta positiva dell’antico, rimettendo in circolazione antiche sapienze. Proprio come stiamo cercando di fare in Puglia. Su questa traccia non dobbiamo mai dimenticare che il bacino culturale del Mediterraneo ha organizzato tutta la sua iconografia su due simboli: la vite e l’ulivo”.