La contraffazione e l’imitazione dei prodotti Dop e Igp producono danni i cui effetti non si limitano ad un’unica impresa o ad una singola fase produttiva. Il valore sottratto alla nostra produzione agricola pesa sull’intera filiera impegnata nelle produzioni di qualità. Un problema che, quindi, va affrontato in chiave di sistema. E’ quanto sostenuto nel corso della sessione plenaria del Consiglio nazionale anticontraffazione (Cnac), tenutasi ieri presso il dicastero dello Sviluppo Economico, alla presenza del ministro Corrado Passera, dal membro della Cia-Confederazione italiana agricoltori presso lo stesso Cnac. La contraffazione – sottolinea la Cia – è un fenomeno in cui si evidenzia la drammaticità del rapporto legalità-economia, laddove all’illegalità corrisponde un evidente danno economico per le imprese. Diretto, per la sottrazione delle quote di mercato, altrimenti occupabili dal prodotto autentico e indiretto per quanto arrecato alla fiducia del consumatore nel prodotto di qualità italiano e nella sua credibilità.
Rapina del made in Italy – Parlare di “rapina”, di “scippo”, di assalto indiscriminato e senza tregua non è affatto azzardato. Ormai siamo di fronte ad un vero e proprio accerchiamento e a cifre da capogiro: un affare da 60 miliardi di euro. A tanto, infatti, ammonta il business dell’agropirateria internazionale nei confronti dell’agroalimentare italiano, il più clonato nel mondo. Dai prosciutti all’olio di oliva, dai formaggi ai vini, dai salumi agli ortofrutticoli è un continuo di “falsi” e di “tarocchi” che rischiano di provocare danni rilevanti non solo alle nostre Dop e Igp, che rappresentano la punta di diamante del “made in Italy” nel mondo, ma all’intero sistema agroalimentare. I prodotti tipici, legati fortemente al territorio, rappresentano -rileva la Cia- un’importante opportunità per l’agroalimentare nazionale nell’ambito dei mercati mondiali, consentendo la diversificazione delle produzioni agricole e la possibilità di cogliere esigenze specifiche di qualità ed evocative di tradizione che sembra poter interessare un numero sempre maggiore di consumatori mondiali.
Imitazioni – L’“Italian sounding”, il fenomeno di contraffazione imitativa dei prodotti che di italiano hanno soltanto il nome, continua a crescere. E così cibi e bevande, grazie a una normativa internazionale quantomeno lacunosa, vengono prodotti e venduti utilizzando in maniera impropria parole, immagini, marchi e ricette che si richiamano all’Italia. Non hanno, però, nulla a che fare con la nostra agricoltura e con la nostra cucina. Non solo, quindi, una falsa garanzia per i consumatori stranieri, ma soprattutto un danno colossale per le aziende del nostro Paese. E ciò avviene soprattutto negli Stati Uniti, dove tre prodotti su quattro vengono spacciati per italiani, ma sono unicamente delle semplici imitazioni e le nostre imprese agroalimentari pagano un conto salato.
Da fare – La Cia, quindi, sollecita alcune misure e politiche per frenare il fenomeno della contraffazione: concentrare l’azione congiunta di sistema, rafforzando la promozione e il sostegno alle Pmi; iniziative congiunte per superare la frammentazione della promozione da parte degli enti locali; sostegno pubblico alla registrazione e alla tutela di marchi commerciali collettivi a favore delle Pmi agroalimentari; accordi bilaterali e multilaterali; una maggiore tutela da parte dell’Ue delle indicazioni d’origine come condizione per la liberalizzazione commerciale; monitoraggio sull’applicazione di nuovi accordi di liberalizzazione commerciale agricola dell’Ue (come quello con il Marocco) per il rischio della triangolazione doganale.