Sempre meno lavoro per le donne. Ma l’agricoltura fa eccezione, anche al Sud

Il mondo del lavoro lascia fuori le donne. Se trovare un impiego in tempo di crisi è sempre più difficile, lo è ancora di più per la componente femminile, soprattutto se si parla di giovani e di Mezzogiorno. Nel secondo trimestre 2012 il tasso medio di disoccupazione è cresciuto del 10,5 per cento tendenziale, il livello più alto dal 1999, ma quello femminile è salito fino all’11,2 per cento, con un picco negativo del 48 per cento per le ragazze del Sud nella fascia d’età 15-24 anni. Eppure c’è un settore produttivo -l’agricoltura- in cui invece la presenza femminile s’è imposta e continua a crescere. Senza bisogno di “quote rosa”. Oggi infatti le aziende agricole condotte da donne sono più del 33 per cento e le lavoratrici rappresentano quasi il 40 per cento della forza lavoro del comparto. Con un processo graduale di “femminilizzazione” che parte proprio dalle regioni meridionali. E’ quanto emerge da un’analisi della Cia-Confederazione italiana agricoltori, diffusa in occasione del convegno “Il contributo dell’agricoltura per la riforma del lavoro e la crescita” con il ministro Elsa Fornero.

Aziende in rosa – Mentre si allentano le possibilità di fare impresa in Italia, il settore primario diventa foriero di nuove occasioni, in particolare per le donne. In dieci anni la quota di aziende agricole guidate da una “lei” è passata dal 30,4 per cento al 33,3 per cento attuale. Vuol dire che un’azienda su tre in campagna è “rosa”. Ma c’è di più: valori superiori alla media si registrano proprio nel Sud, dove il numero di donne a capo di un’impresa agricola arriva al 34,7 per cento del totale. Più in dettaglio -sottolinea la Cia- oggi le “imprenditrici della terra” sono un piccolo esercito che gestisce circa 540 mila aziende, di cui 245.045 iscritte alle Camere di Commercio e più della metà a conduzione familiare.

Dinamiche e creative – Si tratta di aziende dinamiche e creative, orientate naturalmente alla qualità con il biologico, le produzioni di nicchia Dop e Igp e la vitivinicoltura, ma anche verso quelle attività più legate al sociale e alla cura della persona -osserva la Cia-. Regine dell’arte dell’accoglienza e custodi delle tradizioni contadine, infatti, le agricoltrici moderne aprono le porte delle loro aziende non solo ai turisti, ma alle scolaresche, ai disabili, agli anziani. E lo fanno creando agriturismi, fattorie sociali e didattiche, agri-nidi e agri-asili. Tutti servizi all’avanguardia che fanno schizzare a 9 miliardi di euro il contributo delle donne al valore aggiunto dell’agricoltura (circa 26 miliardi).

Lavoro dipendente – Ma la presenza femminile in agricoltura non è forte solo a livello di imprenditrici, cresce anche nel lavoro dipendente. Nel settore, infatti, le donne occupate sono 406 mila, cioè quasi il 40 per cento del totale. E mentre nel Mezzogiorno la possibilità di lavorare per le ragazze è ridotta ai minimi termini, proprio nell’agricoltura le “under 30” possono trovare sbocchi e opportunità. D’altra parte -osserva la Cia- già oggi due donne su tre lavorano nelle campagne meridionali e insieme le lavoratrici della terra in Puglia, Calabria, Campania e Basilicata rappresentano circa il 70 percento della forza lavoro “rosa” in agricoltura.

Occupazione – Un dato che fa ben sperare, visto che soltanto tra aprile e giugno di quest’anno il tasso di occupazione per le giovani tra i 15 e i 29 anni nel Sud è sceso al 16,9 per cento – ricorda la Cia -. Una quota così bassa non si registrava dal 2004, vale a dire da quando sono iniziate le relative serie storiche dell’Istat. Nonostante i numeri positivi del settore dal punto di vista occupazionale, però, le lavoratrici hanno ancora pochi spazi rispetto agli uomini. Per questo va nella direzione giusta la misura contenuta nella riforma Fornero che prevede agevolazioni fiscali per le assunzioni, a partire dal primo gennaio 2013, di donne di qualsiasi età. Ma dal punto di vista delle aziende “rosa”, senza dimenticare l’importanza degli incentivi all’imprenditoria femminile, andrebbe anche studiato -conclude la Cia- un fondo “ad hoc” o piuttosto un progetto sul microcredito specifico per la categoria, visto che ancora oggi le imprenditrici subiscono forti discriminazioni di genere nell’accesso al credito agricolo. 

 

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