La terra è diventata il sostentamento di molti laureati spagnoli. Dopo anni in cui i giovani si disinteressavano all’agricoltura e all’allevamento, ora la politica di rigore estremo cui è soggetta la Spagna, e le sue conseguenze devastanti, ha portato a un numero crescente di giovani con un’istruzione superiore a fare del lavoro nei campi la loro professione, un trend mai registrato prima nel Paese. I numeri presentati da Asaja (Associazione Agraria di giovani agricoltori), e spiegati dal suo presidente, Pedro Barato, mostrano che negli ultimi cinque anni 2.500 giovani si sono dati all’agricoltura in Castilla e León, mentre in Castilla-La Mancha, tra il 2000 e il 2010 sono stati 8764. Crescono con forza le vocazioni agricole, in parte a causa del crollo del valore del mattone, in parte per necessità. Ma ci sono altre ragioni. "La gente vuole lavorare in un’attività basata sull’economia reale, e poi vivere in campagna è più conveniente che in città", dice Pedro Barato. "Anche se quello che vogliono veramente è una vita diversa." Pertanto, l’esperto ritiene che " nell’agricoltura tira aria nuova."
UE – La stessa aria che si respira in tutta l’Unione europea, dove la percentuale media della popolazione agricola è di 6,4%, rispetto al 4% spagnolo. Quindi questo movimento di ritorno – che si registra anche in Portogallo – ha ancora spazio per crescere in Spagna, dimostrando che il settore è in una fase di cambiamento strutturale completo. E vi sono prove evidenti di questa trasformazione. "La superficie coltivata a fragola ‘Huelva’ è aumentata dopo che molti laureati sono venuti a lavorare i campi", ha detto Eduardo Lopez, responsabile dei rapporti di lavoro per il coordinamento delle organizzazioni di agricoltori e allevatori (COAG). E alcuni luoghi comuni stanno cambiando. Se il canone tradizionale vuole il contadino spagnolo generalmente di sesso maschile, di età avanzata (secondo la INE, ci sono 167 mila agricoltori che hanno più di 49 anni) e poco avvezzo alle tecnologie informatiche e le nuove tecniche agricole, casi come quello di Miguel Minguet, Juan Luis González, María del Mar Ferral o Miren Belate mostrano che, poco a poco, altri agricoltori stanno cercando il loro posto nei nostri campi.
Nuovi contadni – C’è persino chi ha dato un nome a questo movimento: "I nuovi contadini". Così racconta Gustavo Duch, coordinatore della rivista Soberanía alimentaria, che tratteggia il ritratto di questi nuovi agricoltori. "Queste persone che rientrano nei campi creano aziende agricole piccole e sostenibili, fondate su coltivazioni biologiche. Inoltre, non desiderano utilizzare le sovvenzioni agricole europee e non fanno affidamento su grandi superfici per vendere i loro prodotti, vogliono il contatto con i consumatori e la distribuzione via Internet ." Miguel Minguet è un giovane (37 anni) ingegnere, laureatosi in Inghilterra, che ha trovato nel riso il suo sbocco professionale. Coltiva 16 varietà diverse nel parco nazionale della Albufera (Valencia), e "nella sua vita passata" era stato consulente tecnologico: era venuto a lavorare per la compagnia automobilistica Ford. Ma nel 2008 ha dovuto prendere una decisione. O si metteva al lavoro nella fattoria di famiglia o questa avrebbe chiuso. Suo padre era avanti con l’età e aveva bisogno di un ‘erede’. Sono passati quattro anni: ora Miguel raccoglie un milione e mezzo di chili di riso. "Ci sono molti giovani che stanno tornando nei campi, ma ce ne sono altri che invece se ne sono semplicemente andati via," racconta Minguet.
Questo senso di appartenenza o di attaccamento al territorio che è anche un senso di appartenenza culturale, è proprio di Miren Belate, una 32enne di Pamplona che dal 2009 a Ilarregui (Navarra) ha un’azienda di 40 ettari con 75 vacche da latte. In queste terre verdi e ripide produce annualmente 340 mila litri di latte, che vende alla Danone. Per lei "il lavoro è vita, e il bestiame è una vita felice". Ha lavorato quattro anni come avvocato. Anni che, nella sua memoria, sono come una nuvola oscura. Non è stato facile. "Ho passato il periodo in cui tutti dicevano ‘Questa ragazza è pazza’, ma per me il bestiame non era solo una risposta alla crisi, ma soprattutto una vocazione", dice. "E ‘stato un modo di usare la terra e il lavoro che per anni mia madre aveva svolto nel settore." In fondo è un modo per riscoprire l’agricoltura e ricordare che, come dice Gertjan van der Geer, gestore del fondo di investimento Pictet Agricoltura, "le buone pratiche migliorano la qualità dei terreni agricoli, riducono l’impiego di beni strumentali agricoli e i costi." Ma forse una delle lezioni più interessanti di questo nuovo trend è che non solo risponde alle difficoltà economiche, ma "è anche accompagnato da una ideologia politica e pensiero sociale che difende la vita di campagna e i valori ad essa associati e di cui, per inciso, noi tutti abbiamo bisogno ", sottolinea Gustavo Duch. Un cambiamento fondamentale di cui le persone hanno sempre più bisogno. Maria del Mar Ferral, 37 anni, ora cammina tra i suoi 40 ettari di ulivi. Si tratta di una proprietà che appartiene alla famiglia, e ben presto inizierà a produrre, insieme al fratello Luis, l’olio con il proprio marchio Ferral. Maria, laureata in Relazioni industriali, ricorda che c’è stato un momento nella sua vita in cui spediva curriculum e pensava di trasferirsi all’estero. "Ma ho deciso di prendere in mano l’attività di famiglia, invece di cercare altre opzioni." E oggi ha la sensazione che sia stata la scelta giusta. "Nel campo faccio di tutto, tranne usare il trattore" dichiara con un sorriso complice.
Fonte El Pais, traduzione Natalie Nicora, AIOL