PAC, negoziato in salita. Lavoriamo per dare certezze ai nostri agricoltori

Presidente De Castro, nei giorni scorsi la Commissione Agricoltura ha terminato il percorso di approvazione delle modifiche alla riforma della PAC: quali saranno le prossime tappe, quali le insidie e cosa lei si aspetta?

Nelle sedute del 23-24 gennaio, la commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Europeo, che ho l’onore di presiedere, ha approvato a larga maggioranza le proprie proposte sulla riforma della Politica agricola comune. Oltre un anno di lavoro con l’introduzione di numerose e importanti novità rispetto all’impianto legislativo UE del novembre 2011. Le modifiche introdotte sono ispirate al conseguimento di alcuni irrinunciabili obiettivi. Innanzitutto, un efficace trade off tra obiettivi economici, ambientali e territoriali della PAC che accanto alla sostenibilità ambientale degli agricoltori europei possa garantirne la sostenibilità economica. In secondo luogo, una politica agricola comune più semplice e flessibile per rendere la vita degli operatori più facile e meno burocratica. Infine, il rafforzamento degli strumenti per la gestione dei rischi all’interno di un nuovo scenario in cui la volatilità dei prezzi sarà in futuro un fenomeno sistematico. Adesso, la prossima tappa sarà il passaggio in Aula dei testi adottati in commissione. Nella seduta plenaria del prossimo mese, chiederemo infatti all’Assemblea di Strasburgo il mandato per avviare il negoziato con il Consiglio e la Commissione (fase dei triloghi). 

A fronte di una previsione di tagli annunciati dalla Commissione, come si comporterà l’Unione Europea, quale crede che sarà il grado di ‘maturità’ della UE?

L’accordo sulle prospettive finanziarie pluriennali dell’Unione, approvato lo scorso 8 febbraio dai capi di Stato e di Governo, influenzerà inevitabilmente le prossime tappe del negoziato sulla Pac. Innanzitutto, il Parlamento dovrà decidere se dare o meno il proprio via libera al quadro complessivo delle risorse per il prossimi sette anni. Accanto a ciò, per quanto di competenza agricola, già in Commissione un nutrito gruppo di europarlamentari ha votato per il rigetto completo della proposta del Commissario Ciolos. Vedremo adesso se i tagli nel bilancio sulla politica agricola comune potranno o meno allargare questo fronte o comunque se aumenteranno l’ipotesi di approvazione di proposte emendative ai testi adottati in commissione.

Come pensa si possa chiudere il negoziato e in quali tempi?

Dopo il passaggio in Plenaria e l’avvio della fase dei “triloghi”, il prossimo obiettivo comune tra Parlamento e Consiglio è quello di arrivare ad un accordo di massima sui grandi temi entro la fine della presidenza di turno UE irlandese (prossimo giugno). Certamente, il negoziato è tutto in salita. Da un lato le diffuse critiche ai testi proposti dall’esecutivo, dall’altro i tagli al bilancio e, non da ultimo, la necessità di allineare i nuovi testi legislativi ai dettami introdotti dal Trattato di Lisbona, rappresentano degli ostacoli oggettivi alla definizione di un accordo entro i tempi prefissati. Credo che, come anche annunciato dal Commissario Ciolos, il rinvio di un anno dell’entrata in vigore della riforma, sarà a questo punto inevitabile. Agli ostacoli citati, bisogna infatti aggiungere i tempi necessari all’applicazione su scala nazionale dei regolamenti che saranno approvati in Europa. Credo, comunque, che sull’esito finale del negoziato ad incidere notevolmente sarà soprattutto la volontà della Commissione esecutiva di coordinare efficacemente il lavoro tra Parlamento e Consiglio dei Ministri UE. Da parte nostra, così come fatto fin ora, continueremo ad impegnarci in commissione parlamentare con responsabilità e dedizione, affinché i nostri agricoltori possano avere al più presto maggiori certezze e guardare al futuro con rinnovato ottimismo. 

Quale è a suo avviso lo stato di salute dell’agricoltura italiana?

Con oltre 1 milione e seicento mila aziende attive che investono una superficie che  supera i 12,8 milioni di ettari e che occupano oltre 900 mila unità lavorative, il settore agricolo continua a rappresentare un asse portante del sistema economico nazionale. Sommando all’agricoltura il sistema agroindustriale, la dimensione economica del comparto sale decisamente a circa 246 miliardi di euro, con un contributo al PIL (considerando anche la ristorazione, il commercio e la distribuzione, le imposte indirette e i sostegni alla produzione) stimato pari al 15,9%. Una dimensione che merita tutti i nostri sforzi per essere valorizzata sui mercati.

In fatto di tutela delle eccellenze agroalimentari made in Italy, quali sono i prossimi passi da compiere e quali obiettivi deve porsi l’agricoltura italiana?

Il nostro patrimonio alimentare, straordinariamente ricco per caratteristiche distintive e territoriali, può essere sfruttato a pieno solo se valorizzato con adeguati interventi organizzativi e strutturali. Le possibilità offerte dall’ampia gamma di produzioni alimentari devono trovare percorsi sempre più efficaci di valorizzazione su un mercato sempre più volatile e incerto per il futuro. Ecco perché la via dei mercati internazionali, affiancata a strumenti di gestione delle emergenze e dei rischi di mercato, rappresenta ormai una direzione di sviluppo obbligata per tutti i prodotti agroalimentari. Ed è anche in tal senso, che la prossima riforma della politica agricola comune, entrata in una fase decisiva del negoziato, rappresenta un’opportunità da non farsi sfuggire.

Campagna elettorale: leggendo i programmi l’agricoltura non risulta essere una priorità della politica, anzi. Qual è il suo punto di vista? E’ così anche per il PD?

La campagna elettorale in Italia assume sempre toni aspri e questo tende a mettere in secondo piano i contenuti. Per quanto concerne il mio partito e la mia coalizione, l’agricoltura torna ad essere un tema centrale: l’agroalimentare è il primo settore economico del nostro paese e ha bisogno d’interventi seri per valorizzarne tutto il potenziale. Sono convinto che il prossimo Governo guidato dal centro sinistra saprà invertire la rotta e ricollocare il comparto al centro dell’agenda economica e sociale italiana.

Dopo aver avuto tre ministri dell’agricoltura in due anni con l’ultimo Governo Berlusconi, e un anno di ministro ‘tecnico’, come valuta il loro operato e cosa pensa che non sia stato fatto di priorità per l’agricoltura italiana? 

In questi ultimi anni la presenza del Governo sui temi agricoli è stata contraddistinta da numeri cambi e scarsa autorevolezza. Ovviamente questa concomitanza non ha facilitato la difesa delle prerogative dell’agricoltura italiana. Sono mancati innanzitutto quegli interventi necessari ad arginare le conseguenze di una delle crisi più profonde degli ultimi decenni. Accanto a ciò, è dall’ultimo Governo Prodi che non si vedono interventi organici e risorse per il settore e le istanze dei nostri agricoltori sono inascoltate ormai da molti anni. Per quel che concerne l’ultimo Governo, a mio avviso ha avuto poco tempo a disposizione e la legislatura si è chiusa prematuramente. Tante buone intenzioni ma pochi elementi per esprimere un giudizio.

Ci sono delle possibilità che lei torni ad occupare la poltrona di Via XX Settembre? In tal caso quali sono le prime tre cose che farebbe da ministri delle Politiche Agricole?
 
Escludo la possibilità di tornare ad occupare un ruolo di Governo nella prossima legislatura. Custodisco con molto orgoglio e soddisfazione le esperienze che ho maturato nei miei tre mandati alla guida del Dicastero dell’agricoltura ma è con altrettanta soddisfazione che, dal giugno 2009, sono impegnato in sede europea. Un impegno che intendo portare avanti con la dedizione che negli ultimi quattro anni ci hanno consentito di conseguire risultati importanti a difesa e a valorizzazione dell’agricoltura mediterranea ed europea. La fase calda del negoziato in corso sulla riforma della politica agricola comune unita al ruolo decisionale che ha acquisito il Parlamento europeo dopo Lisbona, mi caricano ulteriormente di responsabilità per i prossimi mesi. Una responsabilità che intendo onorare fino al termine del mandato ricevuto dai cittadini italiani.   

Lorenzo Benocci

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