La crisi dei consumi colpisce anche il mercato degli agnelli in Toscana. Nel periodo prepasquale 2013 – sottolinea la Cia Toscana – si è registrato un calo dei capi commercializzati del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso. Secondo i dati forniti da Atpz (Associazione toscana produttori zootecnici) infatti, l’associazione ha immesso nel mercato circa 2.600 agnelli, contro i circa 3.000 capi del 2012. «Fra le cause principali – commenta il presidente di Cia Toscana Giordano Pascucci – sicuramente la crisi dei consumi (che per questa Pasqua si attesterà al -7%) e anche il calendario, visto che è una Pasqua che cade a marzo, ed accorcia il periodo di vendite di una decina di giorni». Ed anche i prezzi pagati agli allevatori sono in ribasso del 10-15% rispetto allo scorso anno: 1 kg di agnello viene venduto dai 3,80 euro/kg a 4,40 €/kg.
Campagne animaliste – Un mercato che vive nel periodo pasquale il momento migliore, e fa respirare un po’ gli allevatori toscani, che, però, oltre che con la crisi, devono fare i conti con assurde campagne mediatiche di associazioni animaliste che invitano a non acquistare gli agnelli: «E’ l’ora di finirla con queste invenzioni da parte delle associazioni animaliste, che ogni anno – commenta il presidente di Cia Grosseto Enrico Rabazzi – invitano i consumatori a non mangiare carne di agnello, per chissà quale scopo che solo in apparenza è ideologico. Si gioca sulla pelle e sull’economia di migliaia di aziende zootecniche italiane e toscane che sono già alle prese con una crisi di mercato e di consumi – oltre che con i crescenti costi di produzione – che dura da ormai troppi anni. Nel periodo della Pasqua i nostri allevatori vendono circa il 20-25% dei capi dell’intera produzione annuale, riuscendo a strappare prezzi migliori di 1 euro al kg rispetto al resto dell’anno. E c’è chi tutto questo fa finta di non ricordarlo e specula sul futuro degli agricoltori».
Allevamenti – Se a questo aggiungiamo che il rapporto del ricavato per i produttori fra agnello da carne o pecora da latte è di 1 a 5, ovvero si guadagna cinque volte di più ad allevare una pecora per poi produrre il formaggio pecorino, ecco che allevare ovini da latte proprio sembra non convenire più come in passato. Nelle province maggiormente vocate della Toscana (Grosseto e Siena), il 90 per cento dei capi è da latte (di razza sarda), mentre solo il 10 per cento è da carne (prevalenza di razza appenninica).