«La posizione della presidente di Assica, Lisa Ferrarini, non si può non condividere. L’analisi dell’industria di macellazione è corretta, ma per rilanciare il comparto suinicolo serve un’intesa con la parte allevatoriale, altrimenti non possono esserci progressi». È questo il commento di Antenore Cervi, allevatore reggiano al vertice dell’organizzazione di produttori (op) emiliana Asser e vicepresidente di Unapros, l’associazione di op che con 1,5 milioni di maiali commercializzati rappresenta il 20 per cento della produzione suinicola italiana.
Lo dichiara all’Ufficio stampa di Fieragricola, che nella prossima edizione del 6-9 febbraio 2014 dedicherà ampio spazio al comparto suinicolo.
L’export – Nei giorni scorsi, nel corso dell’assemblea annuale di Assica, l’Associazione dei macellatori di suini, aderente a Confindustria, la presidente Lisa Ferrarini aveva indicato sei priorità per sostenere l’export alimentare. Le ricordiamo: eliminare ogni pretesto per le barriere non tariffarie; concludere accordi di libero scambio (eliminare i dazi); creare una cabina di regia per l’export; coordinare le azioni di promozione, dall’Ice alle fiere; strutturare linee di credito adeguate per le imprese che esportano; qualificare la nostra presenza all’estero: dai Desk anticontraffazione all’Addetto commerciale agroalimentare. «Si tratta di iniziative corrette – afferma Cervi – ed è su questa linea che dovremmo muoverci, sostenendo l’export con iniziative coese e non, come accade oggi, frammentate in mille rivoli. Bisogna intercettare e impegnare sinergicamente i fondi ministeriali, dell’Ice, delle Camere di commercio e dell’Unione europea».
La filiera – Troppo spesso, secondo il presidente di Asser, «l’imprenditore è lasciato solo, a partire da accuse di carattere sanitario che, come sottolineato anche da Lisa Ferrarini, talvolta rappresentano una barriera commerciale mascherata». Ma l’export dei salumi italiani, che nel 2012 per il secondo anno consecutivo hanno superato la soglia del miliardo di euro, non è l’unico aspetto sul quale concentrarsi. «Dobbiamo impegnarci a risolvere le problematiche interne alle filiera, a partire dall’accesso al credito – chiosa Cervi –. Su questo punto l’aggregazione dell’offerta, e quindi le op, sono fondamentali non soltanto per fare massa critica, ma anche per ottenere quelle garanzie bancarie e assicurative che assai raramente vengono riconosciute ai singoli allevatori. In tale ottica ritengo che anche Ismea potrebbe essere coinvolta in un sistema creditizio più omogeneo».
La nuova Pac – Un punto importante, ottenuto nella recente riforma della Pac, «grazie all’impegno di Unapros e all’azione del presidente della commissione Agricoltura al Parlamento europeo, Paolo De Castro, è la programmazione produttiva per i prosciutti e la salumeria Dop – rileva Cervi –. Ora gli sforzi dovranno intensificarsi affinché produttori, macellatori e stagionatori individuino una strategia condivisa per ridurre quanto più possibile la volatilità del mercato». Bene la promozione del «Made in», ma ad una condizione, e cioè che «si utilizzino suini italiani, altrimenti si rischia il paradosso di pubblicizzare i marchi igp come italiani, quando la materia prima ha provenienza estera».
Il mercato – La suinicoltura, secondo Cervi, ha anche bisogno di un piano cerealicolo strategico, per contenere la volatilità dei listini e ridurre le spese in allevamento, visto che i costi della suinicoltura italiana superano alla voce razione alimentare anche i 3-4 euro per maiale, rispetto agli standard medi europei. «Sarebbe poi opportuno incentivare, per evitare ulteriori speculazioni, solamente quegli impianti bioenergetici che sfruttano i reflui zootecnici come carburante e non i cereali, che devono rimanere nei circuiti destinati all’alimentazione umana e animale». Rimane l’incognita del mercato, che sta riprendendo quota dopo la flessione preoccupante di aprile e maggio. «Con 1,495 euro al chilogrammo dell’ultima quotazione della Cun al 4 luglio – analizza Cervi – rimaniamo ancora al di sotto dei costi di produzione, che si aggirano intorno a 1,60 euro. Regna tuttavia una grande incertezza, perché nel giro di un anno il patrimonio suinicolo italiano ha perso il 10 per cento delle scrofe, con una flessione del 5-6 per cento sui grassi da macello. Eppure, i listini sono ancora lontani da una corretta fotografia del mercato».
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