“La dieta mediterranea è un bene prezioso che va tutelato e diffuso. Non soltanto perché rappresenta il modello nutrizionale per eccellenza, alla base di un’alimentazione sana ed equilibrata, ma anche perché si conferma un ‘elisir’ per combattere malattie gravi come quelle cardiovascolari”. Lo ha affermato Cinzia Pagni, vicepresidente nazionale della Cia-Confederazione italiana agricoltori, al convegno sul tema organizzato oggi a Teggiano da Palazzo 22.
Gli alimenti – “Basandosi sulla varietà degli ingredienti e sull’assenza di grassi saturi, con un consumo abbondante di frutta e verdura, cerali, olio d’oliva e vino -ha ricordato la Pagni- la dieta mediterranea è un ‘mix antinfiammatorio’ imbattibile per prevenire le malattie cardiovascolari, riuscendo a mantenere più bassi i livelli di trigliceridi, colesterolo, glicemia e pressione arteriosa. Ma non basta: diverse ricerche mediche e scientifiche internazionali hanno dimostrato che la dieta mediterranea riduce del 9 per cento l’incidenza di problemi e patologie cardiache, del 13 per cento l’incidenza del Parkinson e dell’Alzheimer, del 6 per cento quella del cancro”.
Cosa serve – “Il suo riconoscimento da parte dell’Unesco come patrimonio dell’umanità -ha detto ancora il vicepresidente della Cia- non ha fatto altro che accendere ancora di più i riflettori sulle caratteristiche nutritive e salutistiche e sulle proprietà terapeutiche insite nella dieta mediterranea. Quindi, appare quanto mai opportuna una sua piena valorizzazione a livello globale, per indirizzare soprattutto i giovani verso una corretta alimentazione. Anche perché oggi i costi sociali di obesità e sedentarietà toccano, solo in Italia, i 65 miliardi di euro all’anno”.
I numeri – In questo senso, ha sottolineato la Pagni, “è sintomatico anche il grido d’allarme lanciato dalla Fao, secondo cui la dieta mediterranea, che vanta seguaci in tutto il mondo, è sempre più ignorata nei paesi d’origine, tra i quali l’Italia, dove sono cresciuti i consumi di grassi e calorie. Un problema legato a doppio filo alla crisi economica, con sei famiglie su dieci che hanno cambiato abitudini alimentari, dirottando verso discount (6,5 milioni) e prodotti molto più economici ma di qualità inferiore”. Contemporaneamente “nelle dispense si moltiplicano cibi in scatola e surgelati e si ricorre sempre più spesso al ‘junk food’ (+7 per cento in un anno) -ha concluso il vicepresidente della Cia- a tutto discapito dei prodotti freschi tipici della dieta mediterranea come frutta e verdura”.
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