Un codice a barre del dna dei bufali e un sistema di tracciabilità di tutta la filiera: la Regione Campania difende così, con una delibera, la mozzarella di bufala dop, attraverso maggiori controlli per garantire consumatori e produttori. In questo modo sarà possibile seguire ogni passo che porta alla mozzarella di bufala dop.
I numeri del settore – In Campania il settore bufalino comprende oltre 279mila capi, pari al 74% del patrimonio bufalino nazionale, allevati in quasi 1.500 aziende. Un settore in ripresa dopo la brucellosi che ha portato ad abbattere 58mila capi, causando danni pari a 60 milioni di euro. Oggi, però, la malattia può dirsi debellata, come sottolineato da Antonio Limone, commissario dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno perché la brucellosi ha un’incidenza pari appena al 3-4%.
La delibera – La delibera regionale prevede di estendere a tutti gli operatori della filiera lattiero-casearia bufalina, che operano sul territorio campano, di aderire al sistema della tracciabilità e di istituire un Osservatorio permanente sulla filiera del quale faranno parte le associazioni di categoria che, attraverso un lavoro comune, hanno portato alla predisposizione del sistema di tracciabilità. La delibera, infatti, è frutto di una sinergia tra la Regione e Coldiretti Campania, Confindustria Campania, Confagricoltura Campania, Confartigianato, Cna e Cia. Tutti enti che, seduti attorno a un tavolo per approfondire i problemi del comparto, hanno condiviso la posizione che la tracciabilità della produzione sia riferita sia alla produzione del latte sia a quella della mozzarella e che, negli stabilimenti nei quali e’ presente solo latte di bufala idoneo per la mozzarella dop e’ possibile produrre anche altri tipi di formaggi.
Il database – Per garantire il marchio dop, la mozzarella di bufala deve essere prodotta solo in zone geograficamente limitate e realizzate seguendo regole ben precise. Ecco perché l’ipotesi di realizzare mozzarella di bufala con latte proveniente da razze bufaline diverse danneggia il prodotto finale e potrebbe comportare rischi per la salute del consumatore. Nasce da qui l’idea di creare un database per il dna del bufalo, per la tracciabilità del latte evidenziando l’eventuale presenza di latte di provenienza diversa da quella di bufala mediterranea e il ricorso a latte o cagliate congelate. L’analisi del dna bufalino, che si chiamerà ‘Dna barcoding del bufalo’, servirà a ottenere un nuovo tipo di catalogazione e definizione degli organismi viventi. Per attribuire un codice a barra genetico per ogni singola razza di pelo, un gruppo di lavoro dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, esaminerà, in base ai vari paesi d’origine delle bufale, campioni di pelo, sangue e cagliata sia fresca sia congelata. Il lavoro consentirà di identificare le razze e depositare le relative informazioni genetiche per confrontare i codici e individuare eventuali presenze di latte territorialmente estraneo nella mozzarella di bufala campana dop.