Toscana che vai, olio nuovo – o meglio “novo” – che trovi. Possiamo ufficialmente inaugurare la stagione della raccolta delle olive del Granducato che, un po’ a macchia di leopardo e con molta differenzazione da zona a zona, si appresta a vivere un’altra intesa stagione olivicola com’è nella tradizione del territorio. «Si prospetta una buona annata – sostiene Giampiero Cresti, direttore dell’Ota (associazione degli Olivicoltori Toscani Associati) -. Sia a livello di produzione che di qualità, sebbene servirebbe qualche punta di freddo in più per poter mantenere un elevato standard di eccellenza». Dunque, come avviene in molti settori agricoli, sono ancora le strane congetture e i cambiamenti climatici a tener banco e far rimanere in guardia gli operatori del settore. Con un lavoro che, di conseguenza, deve dimostrare le dovute capacità di adeguamento. «L’extravergine di oliva è un’eccellenza per la Toscana ma si può ancora migliorare. I frutti vanno colti nel giusto momento di maturazione – prosegue Cresti -. Se avessimo uno strumento che ci consentisse di sapere quale è il periodo ideale per la raccolta, gli agricoltori non sarebbero portati ad operarla in maniera anche precocissima per scongiurare pericoli di grandinate o gelate improvviso. Il problema è che in alcuni casi si procede con quello che scherzosamente potremo definire “occhiometro”, senza avere un effettivo riscontro né tecnico, né scientifico, né tantomeno organolettico».
Raccolta anticipata e rese – «La tendenza ad anticipare i tempi di raccolta non sarebbe un male di per sé. Non bisogna però esasperare il concetto. Anche perché, in Toscana, bisogna fare una dovuta distinzione tra zone costiere e zone interne. Allo stesso modo bisogna porre molta attenzione alle diverse varietà di olive: un leccino matura prima, un frantoio dopo». Ha spiegato ancora il direttore di Ota. Il rischio relativo a una raccolta avvenuta in un momento poco propizio è quello di frustrare l’eccellenza con oli che, dal punto di vista organolettico, potrebbero non avere quei picchi di sapore tipici degli extravergini toscani. Al tempo stesso però, gli olivicoltori aspettano i freddi venti di Tramontana che possano asciugare gli oliveti. «Non è normale registrare a novembre temperature sui 18-20°C. I frutti rischiano di essere sì pesanti, ma anche carichi di acqua – dice Cresti –. E questo incide sulle rese che fino ad oggi si attestano ad una percentuale del 12.5% circa di olio estratto da ogni oliva. Questa non è la temperatura ideale».
Il batterio del Salento – Con delle olive cariche d’acqua occorre fare attenzione anche alla presenza di mosche e parassiti. Il nemico principale, insieme alla grandine e al gelo, dell’olivicoltura. Su questo fronte, c’è grande attenzione per ciò che sta accadendo in Puglia, al caso della moria delle piante causata da alcuni batteri. Un fattore che ha messo in ginocchio la produzione annuale. «Conosciamo poco di quello che sta accadendo in Salento – conclude Giampiero Cresti -. Dalle prime indiscrezioni e da ciò che si può leggere sulla stampa specializzata, pare si tratti di un particolare batterio di provenienza americana portato da delle cicale mai viste sui nostri territori. Una specie, questa, che germoglia con il forte caldo e la siccità estiva. La Toscana, insieme all’Umbria, dovrebbe essere al sicuro da tutto questo anche perché i nostri sono considerati territori freddi per la produzione di extravergine di oliva. Però, ancora non abbiamo un’approfondita documentazione scientifica. Dovremo seguire e monitorare ciò che emerge dalle riunioni e dai summit di esperti del settore che si stanno susseguendo con grande frequenza in questi giorni ». Come dire: la tutela di un’eccellenza passa anche da un’accurata conoscenza delle potenziali criticità. Al contrario della raccolta, “prevenire” è decisamente meglio.