«Ho chiesto alla Commissione di intervenire per fermare, o almeno rallentare, l’uso ingiustificato di antibiotici che viene fatto negli allevamenti intensivi di suini da ingrasso, tipici del Nord Europa. Una pratica diffusa specialmente in Germania, nonostante sia vietata dalle norme europee, che mette a rischio la salute dei consumatori». Questa la richiesta avanzata alla Commissione europea dall’eurodeputato Giancarlo Scottà (ELD), in un’interrogazione parlamentare prioritaria avente come oggetto i metodi di allevamento adottati nelle grandi produzioni di carne suina del Nord Europa.
È comprovato, infatti, che in numerosi allevamenti intensivi di suini da ingrasso si faccia un uso massiccio di Carbapenem, un antibiotico che la normativa europea (Regolamento CE 1831/2003) considera una sorta di extrema ratio nella lotta ai microrganismi nocivi, da utilizzare esclusivamente per fini terapeutici. Secondo le ultime stime dell’ufficio federale tedesco per la protezione dei consumatori e la sicurezza alimentare, ad esempio, i veterinari tedeschi somministrano agli animali, spesso a puro scopo profilattico, 1734 tonnellate di antibiotici all’anno, più del doppio di quelli prescritti ai cittadini tedeschi.
Problemi – Uno dei problemi che scaturisce da questo abuso di anticorpi è la nascita di ceppi di batteri resistenti. In particolare, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) riconosce negli allevamenti intensivi di suini da ingrasso le condizioni ideali per fungere da laboratorio naturale nella selezione di nuovi batteri antibiotico-resistenti, tra cui quelli dei generi Campylobacter, Salmonella e alcuni Escherichia, che possono provocare gravi intossicazioni alimentari. «È giusto che i consumatori siano a conoscenza di questa situazione – afferma Scottà – il mercato interno è invaso da prodotti stranieri che, oltre a penalizzare la salute economica delle nostre aziende, possono rappresentare un rischio per la salute delle persone. In vista delle festività, suggerisco agli italiani di rifornirsi presso le produzioni locali». «La dimensione degli allevamenti, in particolare, incide in modo determinante sul rischio di proliferazione di questi batteri – spiega Scottà – gli studi dell’EFSA a tal proposito evidenziano come un allevamento con 400 o più suini da riproduzione presenta un fattore di rischio almeno doppio rispetto ad uno con 100 capi. E in Italia la dimensione media degli allevamenti è di 90 suini».
«Altro fattore di rischio – prosegue l’europarlamentare trevigiano – è la movimentazione degli animali, controllabile solo intensificando la tracciabilità, che attualmente in Europa prevede l’indicazione solamente dei luoghi di nascita e di macellazione del suino, senza considerare i passaggi intermedi. L’esigenza di un maggiore controllo delle filiere lunghe è sia di natura sanitaria, che economica: la Commissione europea, infatti, stima che ogni anno circa 25mila pazienti muoiano a causa di infezioni causate da microrganismi resistenti, con costi sanitari che ammontano a oltre 1,5 miliardi di euro all’anno».