«Il suicidio dell’extravergine di oliva». È la definizione dell’illustratore e direttore artistico del New York Times Book Review Nicholas Blechman che, sulla base dei dati forniti dal blogger Tom Mueller (“Truth in Olive oil”, la “Verità sull’olio d’oliva”), ripercorre (LINK AL FUMETTO DEL NY TIMES) il circuito di contraffazione della produzione di extravergine in Italia, dove il 69% degli oli immessi sul mercato viene realizzato con olive provenienti da altri paesi del bacino del Mediterraneo (Spagna, Marocco e Tunisia).
Olive dal Mediterraneo per il falso Made in Italy – Sull’edizione online della testata statunitense si ripercorre tutta la storia attraverso uno slide show che sintetizza in maniera immediata e pragmatica quella che è la vicenda. “L’alterazione dell’olio di oliva italiano” – così viene definita – parte con la raccolta e la spremitura dei frutti nei paesi dove manodopera e materie prime hanno un minor valore, e quindi un minor costo. E l’Italia viene descritta come il principale paese importatore di olio d’oliva. Un fattore che, di per sé, farebbe già stridere i denti. Trasportati via mare, gli oli subiscono poi una doppia alterazione: prima a bordo delle navi dove vengono mischiati con altre spremiture provenienti da differenti materiali vegetali e, successivamente, nel porto di destinazione dove, grazie all’aggiunta di beta-carotene e clorofilla, sapore e colore vengono modificati per far emergere in maniera meno netta la provenienza eterogenea delle materie prima.
“The Suicide” – Il report poi va più a fondo: prima descrive il passaggio, «stranamente» («oddly») legale, che permette di marchiare i prodotti con il brand del Made in Italy, data la lavorazione degli oli avvenuta parzialmente nel Belpaese. Il tutto nonostante il fatto che le olive vengano da altrove. E poi parla di come tutti questi falsi extravergini vengano immessi sul mercato dove circa il solo 30% ha una provenienza ed una lavorazione interamente italiana. Blechman parla anche dei controlli dei Nas ma anche di come i Carabinieri si debbano affidare al loro «fiuto» per cercare di bloccare le contraffazioni, visto che anche i test sugli oli sono a portata di raggiro («easy to fake»). Nonostante l’attività dei Nas, molti produttori fraudolenti riescono a farla franca – conclude il report – grazie agli agganci con le alte sfere della politica di molti produttori fraudolenti. Il che determina, di conseguenza, il crollo dei prezzi di mercato che porta al «suicidio» economico che dà il titolo a questo resoconto-denuncia “Made in Usa” ma che proietta un’ombra scura sulle produzioni e sui falsi Made in Italy.
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