Adesso c’è il protocollo per una filiera di carne Chianina interamente garantita ‘no Ogm’. E per gli allevatori si aprono nuovi sbocchi commerciali, in particolare nei confronti della grande distribuzione organizzata. Il documento è stato presentato oggi ad Arezzo – in un convegno organizzato da Cia Toscana – al termine del progetto “Pro.sper.a.n.o. – Protocollo sperimentale alimentazione no Ogm” che fa parte dei Progetti integrati di filiera anno 2011 – Misura 124; PIF “Interventi volti al miglioramento della qualità della carne bovina a marchio IGP – Vitellone bianco dell’Appennino centrale”, cofinanziato dal PSR 2007-2013 della Regione Toscana. Il costo del progetto è stato di 495.340 euro di cui 345.738 euro da contributo del PSR (Piano di sviluppo rurale). Attualmente solo il 7% delle aziende zootecniche toscane (di razza Chianina) utilizza una parte di mangime per l’alimentazione animale di origine Ogm (organismi geneticamente modificati), in particolare soia importata.
Il progetto – «L’obiettivo del progetto – ha commentato Chiara Innocenti, presidente Cia Arezzo – vuole garantire al consumatore una carne chianina completamente no ogm, dando così un valore aggiunto alle nostre aziende ed allevamenti, ed offrendo loro opportunità ulteriori di mercato. La fotografia dell’allevamento di Chianina ci mostra, comunque, un settore vitale, basato su allevamenti medio-piccoli con prevalenza di ciclo chiuso ed alimentazione locale ed una discreta integrazione di filiera». «Un contesto nel quale – ha aggiunto Marco Failoni della Cia Toscana – la certificazione No Ogm, per la maggior parte delle aziende, potrebbe essere raggiunta senza cambiamenti dei processi produttivi e senza eccessivi costi aggiuntivi. Naturalmente la convenienza di questa procedura, dipende dalla disponibilità della distribuzione a valorizzare il prodotto in termini di prezzo, e quindi dalla “forza contrattuale” che la filiera produttiva saprà esercitare nell’ambito della filiera». Fra i problemi maggiori, per una produzione di carne chianina no-ogm, ci sono i costi di produzione: «ad esempio una soia no-ogm rispetto ad una soia ogm ha un costo maggiore per l’allevatore del 15%. Un costo – evidenzia Luca Marcucci, presidente Cia Siena – che non è compensato da altri segmenti della filiera (es. distribuzione), quindi anche il mercato dovrebbe dimostrare – riconoscendo un prezzo superiore – di volere una produzione interamente no-ogm, riconoscendo alla parte agricola un valore aggiunto. Inoltre la soia no-ogm è di difficile reperimento e potrebbe essere sostituita da altri mangimi proteici, come favino, girasole e erba medica che possono essere prodotti direttamente in azienda».
La Chianina in cifre – La Toscana conta complessivamente circa 600 allevamenti di Chianina. Per quanto riguarda i 400 allevamenti controllati dal progetto, Il 60% circa ha una consistenza di 10-50 capi, mentre rientrano nella fascia 50-100 capi il 20% circa degli allevamenti. Di queste aziende la maggior parte (53%) ha un sistema di allevamento a ciclo chiuso, mentre solo il 13% delle aziende è specializzato nell’ingrasso. Il restante 34% alleva vitelli da ristallo. Il dato sugli allevatori di Chianina mostra una rilevante presenza di giovani: sono oltre 100 gli allevamenti condotti da giovani; inoltre sono presenti 80 aziende dove un giovane affianca il titolare. I dati sui sistemi di alimentazione e sui conferimenti, danno indicazioni positive rispetto alla praticabilità del protocollo No Ogm. In gran parte delle aziende alimenti gli animali esclusivamente con prodotti aziendali o comunque locali, certamente esenti da Ogm, la cui produzione in Italia è vietata. Se si aggiunge che dai controlli effettuati, in oltre il 90% dei casi nell’alimentazione non sono presenti mangimi provenienti da paesi extra UE, possiamo concludere che la quasi totalità degli allevamenti di Chianina, si trova già oggi nella condizione di poter garantire l’alimentazione No Ogm. L’interesse per questa certificazione aggiuntiva, anche se facoltativa, per la Chianina IGP, è in prevalenza della grande distribuzione e di organizzazioni di filiera, anche se mantengono un ruolo significativo la vendita ai macellai ed alle macellerie aziendali.
Il Protocollo di alimentazione no Ogm – Come ha sottolineato Stefano Mengoli, responsabile commerciale Cooperativa Bovinitaly ”la certificazione No Ogm non è un requisito dell’IGP ed è facoltativa” «La certificazione degli alimenti riguarda esclusivamente soia, mais e derivati – ha spiegato Mengoli -, i capi sottoposti a controllo sono esclusivamente i vitelloni la cui carne è Igp; il sistema attualmente vigente, basato sull’autocertificazione e sulla verifica in sede di controllo, non è più valida; per poter garantire il No Ogm è necessaria per Legge una procedura di certificazione. I costi per l’applicazione del protocollo cambiano in base alla provenienza dell’alimentazione. Nel caso di allevamenti alimentati con prodotti aziendali e/o locali, gli alimenti non dovranno essere sottoposti a controlli ed analisi; sarà sufficiente tenere un registro (che potrà essere lo stesso già utilizzato per altre certificazioni, ad esempio per il biologico), che verrà controllato dall’organismo di certificazione; per allevamenti alimentati con prodotti provenienti da mangimifici, inoltre, il produttore, oltre alla tenuta del registro, dovrà mettere in atto una procedura che garantisca la percentuale contenuta di prodotto Ogm e l’origine».