La crescita dei prezzi agricoli sui campi (più 3,9 per cento), registrata nel 2013, compensa soltanto in parte le forti “cadute” degli anni passati e si rivela marginale se viene raffrontata alla lievitazione dei costi produttivi (più 2,1 per cento) che le imprese sono costrette ad affrontare. Oneroso è stato il rincaro della voce “mangimi” (più 5 per cento). Ma a pesare nella gestione aziendale sono anche gli aumenti delle sementi (più 2,9 per cento), degli antiparassitari (più 3,8 per cento) e della manutenzione e riparazione delle macchine (più 1,7 per cento) e dei fabbricati rurali (più 1,2 per cento). Una tendenza che conferma le difficoltà degli agricoltori che si traducono in minore competitività sui mercati. E’ quanto sottolinea la Cia-Confederazione italiana agricoltori a commento dei dati resi noti oggi dall’Istat. Se a questi aumenti produttivi -rileva la Cia- si aggiungono i costi contributivi e quelli burocratici, il quadro per la nostra agricoltura risulta alquanto complesso. Le aziende fanno i conti con prezzi non affatto remunerativi e con oneri in continua ascesa. Preoccupazione che cresce davanti ai dati di gennaio 2014 che registra -come emerge in un’analisi dell’Ismea- un crollo dei listini sui campi pari al 4,4 per cento rispetto allo stesso mese del 2013. Nello scorso gennaio i cali tendenziali più accentuati si hanno per i cereali (meno 16,7 per cento), per i vini (meno 16,8 per cento), per gli oli d’oliva (meno 13,2 per cento), per gli ortaggi (meno 11,3 per cento), per la frutta (meno 5,6 per cento), per le colture industriali (meno 6,2 per cento). Ovviamente, questa situazione rischia di avere effetti negativi sui redditi dei produttori agricoli, annullando il trend positivo registrato nel 2013. Incremento che, tuttavia, non ha colmato -conclude la Cia- il pesante crollo del 30 per cento registrato negli ultimi dieci anni.
Prezzi agricoli in crescita, ma l’ennesimo rialzo dei costi (+ 2,1%) frena le imprese
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