“Il documento di economia e finanza (DEF) prevede un programma di riforma ampio nelle sue linee generali in ordine ai tagli delle spese e alle aree di spreco. Quello che però non si può condividere è l’aggravamento fiscale solo per alcuni settori produttivi, in particolare per l’agricoltura.” Lo ha detto Mario Guidi, coordinatore di Agrinsieme (il coordinamento tra Cia, Confagricoltura ed Alleanza Nazionale delle Cooperative), commentando il decreto Competitività e giustizia sociale che va oggi al Consiglio dei Ministri. “I tagli previsti comportano un forte aggravio di imposizione per le imprese agricole – ha osservato Agrinsieme –. Il governo si era impegnato a selezionare i tagli per ridurre la spesa pubblica improduttiva. E si poteva anche discutere su quali risorse per l’agricoltura fossero improduttive, ma questo andava fatto con un’approfondita conoscenza del settore, cosa che le misure annunciate non rispecchiano”.
Commento – Particolarmente critico il giudizio di Agrinsieme sulla cancellazione dell’esonero Iva per le aziende con un fatturato inferiore a 7.000 euro. Il coordinamento di Cia, Confagricoltura e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari si era battuto fortemente affinché queste aziende fossero esentate, in nome della semplificazione, da ogni adempimento burocratico, a partire dalla dichiarazione degli elenchi dei fornitori. Senza successo, perché altre organizzazioni ne avevano sostenuto la necessità in nome della tracciabilità. Il risultato è che il legislatore, coerentemente, ora trasforma la tracciabilità in onere fiscale! E le piccole imprese non solo dovranno dichiarare gli elenchi dei fornitori, ma anche pagare l’Iva. “A fronte di questi prelievi – ha concluso Agrinsieme – servono le misure di sviluppo che sostengano la crescita delle aziende agricole, permettano di migliorare la produzione, favoriscano l’innovazione e la propensione all’export, che potrebbe tornare a crescere, (+3,3% a febbraio rispetto all’anno precedente). Non si può pensare di fare una riforma a metà che rischia di finire per indebolire il sistema produttivo del Paese, il made in Italy e l’occupazione”.