La congiuntura economica ha certamente frenato le mire del fisco sull’applicazione del nuovo, temibile, redditometro ma prima o poi dovremo farci i conti, per cui tanto vale tentare di porre rimedio alle situazioni più a rischio. Queste ultime sono certamente rappresentate dagli imprenditori agricoli, che dovendo dichiarare ai fini reddituali i redditi catastali, che non rispecchiano quindi l’effettiva redditività dell’attività, rischiano di essere facilmente intercettati dal Fisco. Il nuovo redditometro abbassa il limite di scostamento dal reddito accertato del 25 al 20% e considera lo scostamento valido per procedere con l’accertamento, non più in un arco temporale di 2 anni ma di un solo anno. Il reddito presunto viene determinato in base ad alcune spese effettuate nell’anno accertato, aumentate in modo presunto e su base statistica, delle spese non determinabili con certezza dal Fisco, quali le spese per l’alimentazione, l’abbigliamento, le spese voluttuarie, ecc. Alcune delle e spese effettuate, tra le quali il fisco considera anche quelle di cui hanno beneficiato i familiari a carico, sono: l’acquisto di autovetture, le utenze energetiche, l’acquisto di abitazioni o altri immobili, il finanziamento di partecipazioni societarie, la costituzione di società, altri beni patrimoniali, le spese per la frequentazione di università, ecc. Per le spese presunte accertate induttivamente segnaliamo le spese di manutenzione della casa e delle autovetture (se non dimostrabili), le spese per le vacanze, ecc. Una volta determinato il reddito necessario a sopportare le spese effettivamente sostenute e quelle presunte, l’Agenzia confronterà questo con il reddito complessivo dichiarato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi. Lo scostamento del 20% farà scattare la fase dell’accertamento vero e proprio. Per difendersi il contribuente imprenditore agricolo, può rappresentare all’Agenzia delle entrate il volume d’affari IVA prodotto dalle attività agricole, che deve essere ovviamente rettificato in aumento o diminuzione a seconda che lo stesso imprenditore abbia percepito contributi o premi comunitari alla produzione, o abbia sostenuto spese per il personale, per investimenti, ecc. Spesso però, i volumi di attività indicati nella dichiarazione IVA non sono congrui con quella che poi è l’effettiva (ed accertata) capacità di spesa esercitata dallo stesso imprenditore. Anche in presenza della congruità dei volumi d’affari dichiarato rispetto alla capacità di spesa accertata, l’Agenzia pretende che l’imprenditore dimostri che ha effettivamente sostenuto le spese riscontrate con i proventi dell’attività. I controlli sui conto correnti dello stesso imprenditore possono portare a spiacevoli sorprese. Anche se non obbligato, non possiamo che consigliare di prestare molta attenzione alla gestione del conto corrente, che almeno nelle realtà produttive più complesse dovrebbe dividersi in due: un conto corrente per l’attività, uno personale. Nel momento in cui all’imprenditore occorrono risorse per acquistare ad esempio l’autovettura, deve effettuare una partita di giro sul conto corrente, in modo tale da spostare le risorse occorrenti, dall’attività al conto privato. In questo modo potrà dimostrare che le risorse impegnate per sostenere l’acquisto provengono indiscutibilmente dall’attività esercitata.
Da Dimensione Agricoltura, giugno 2014