Forse non tutti sanno che 22mila km quadrati della superficie dell’Italia è costruita, occupata da edifici, strade, infrastrutture, cave. Ciò significa che non è disponibile, non è utilizzabile ed è compromessa per sempre. Tra il 2009 e il 2012 abbiamo perso 720 km quadrati di suolo, come se prendessimo le città di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo e le mettessimo una di fianco all’altra. Il consumo di territorio cresce di giorno in giorno di 8 mq al secondo. Ci stiamo letteralmente mangiando la terra. Non ci consola neanche guardare gli altri Stati europei, dove la situazione non è poi così distante da quella italiana. Per dare un’idea di ciò di cui stiamo parlando, considerate che in 10 anni in Europa abbiamo perso una superficie vasta quanto quella dell’Isola di Cipro. Sempre a livello europeo, in 7 anni gli Stati membri hanno rifiutato di esaminare una proposta di regolamentazione sull’uso e la tutela di suolo che definisse una politica comunitaria.
Ad aggravare la situazione nelle ultime ore si è messa anche l’approvazione della conversione in legge del cosiddetto Decreto Sblocca Italia, definito “surreale” da Carlo Petrini, che acuirà le problematiche legate al controllo e all’investimento in attività edilizie e di costruzione di infrastrutture. Questo nonostante circa il 47% della superficie costruita in Italia sia occupata da infrastrutture lineari, ossia strade, autostrade e ferrovie. Insomma si continuerà a costruire male, in modo forse più o meno lecito o dove non si potrebbe farlo, con una pianificazione del territorio che ignora il rischio idrogeologico, causa un’alterazione del paesaggio e riduce il terreno coltivabile.
Questo quadro è stato presentato al Salone del Gusto e Terra Madre perché tocca da vicino l’elemento vitale che, insieme ad aria, acqua ed energia, ci dà da mangiare. Un bene comune, di tutti, e quindi di nessuno, di cui nessuno si sente responsabile. Ma come sarà possibile nutrire un pianeta che cresce in maniera esponenziale se stiamo perdendo terreni agricoli? Quali saranno le conseguenze sull’agricoltura? Il peggiore degli scenari vedrebbe la diffusione delle monocolture per ottimizzare le produzioni, un aumento nell’uso di concimi chimici e pesticidi, una conseguente riduzione della biodiversità, l’inquinamento delle falde acquifere e del suolo e il suo impoverimento.
Per fortuna però c’è chi ha a cuore la situazione e con tanti sforzi prova a portare all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica le istanze di chi vive sulla propria pelle le conseguenze devastanti dell’intensivo consumo di suolo. Il Forum nazionale “Salviamo il paesaggio – Difendiamo i territori” è un movimento di quasi 1.100 associazioni e circa 10.000 cittadini, che hanno come obiettivo quello di tutelare il nostro territorio dalla deregulation (e quindi da decreti come lo Sblocca Italia) e dal cemento selvaggio. Agisce su diversi fronti, primo fra tutti quello dell’informazione e la comunicazione di vertenze sparse nel territorio italiano, a sostegno di proposte regionali per fermare il consumo di suolo, fino ad arrivare a una regolamentazione da presentare in contesti non solo nazionali, ma anche europei. Censisce gli edifici vuoti e inutilizzati per capire le reali esigenze di urbanizzazione del Paese e collabora con istituti di ricerca per dimostrare scientificamente l’esigenza di fermare lo scellerato consumo di una risorsa non rinnovabile, se non nel lunghissimo periodo.
I rischi connessi sono tanti, primo fra tutti quello delle alluvioni, cui assistiamo con spaventosa regolarità. E poi frane, smottamenti, che insieme alla riduzione della terra coltivabile, costituiscono un serio pericolo per la vita delle persone. Che fare? Prendere forse esempio da chi resiste, da chi «vuol bene alla terra». Come i vignaioli del Lugana, che combattono contro i cantieri per la realizzazione della Tav nella tratta tra Brescia e Verona, che comprometterebbero seriamente la produzione del vino Doc della valle, oltre che l’indotto turistico di una zona come quella del Lago di Garda. Oppure il comune di Tronzano Vercellese, in provincia di Vercelli, che cerca da anni di contrastare l’attuazione di obsolete decisioni politiche sulla realizzazione di nuove cave nel proprio territorio.
Una risposta ci arriva proprio da Slow Food, che da 25 anni cerca di far capire alle persone che dietro alla produzione del cibo c’è un sistema che si basa proprio su quel suolo che distruggiamo. Il problema non tocca solo chi subisce un’alluvione e perde tutto il raccolto, o l’esproprio della terra per la costruzione di una strada. Ma ci riguarda tutti. E allora perché ostinarci a non sostenere quella che a oggi è l’unica a conservare e valorizzare il territorio? L’agricoltura familiare, le produzioni di piccola scala operano e lavorano nel rispetto della biodiversità e del territorio. Basta un cambiamento di abitudini di acquisto e di consumo, piccole azioni che possono contribuire a preservare il suolo. Perché bisogna sentirsi contadini dentro per salvare la terra.