Le stime Wine Monitor per l’export di vino italiano dicono di un 2014 in lievissima progressione (poco più dell’1%) rispetto all’anno precedente, con un valore che dovrebbe assestarsi attorno ai 5,1 miliardi di euro rispetto ai 5,04 del 2013, dopo tassi medi annui di crescita superiori al 9% tra il 2009 e il 2013.
“I motivi di tale frenata sono diversi ma ampiamente noti agli addetti ai lavori”, afferma Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor di Nomisma. “Dal giro di vite del governo cinese ai rimborsi spese dei propri funzionari (il principale segmento di consumatori di vino importato nel paese) allo “spiazzamento” subito dai nostri vini sfusi sul mercato tedesco ad opera del più competitivo – e in svendita – prodotto spagnolo (la metà dell’export di sfuso italiano finisce in Germania e questa tipologia di vino pesa ancora per il 30% sui volumi complessivamente esportati)”. Ma al di là dei casi specifici, la tendenza di fondo sembra essere quella di un generale rallentamento dell’economia che sta interessando i principali mercati di consumo del nostro vino. La stessa Russia, il cui embargo non coinvolge questo prodotto, vedrà per il 2014 aumentare l’import di vino italiano solamente di qualche punto percentuale, un mercato che negli ultimi cinque anni ci aveva invece abituati a crescite medie annue superiori al 10%.
All’opposto, tra i principali sbocchi del nostro vino, aumentiamo negli Stati Uniti, recuperiamo in Giappone e teniamo nel Regno Unito, in particolare grazie agli sparkling (leggi Prosecco) dove sopperiamo così ad un calo dei vini fermi imbottigliati. Guardando all’ultimo decennio, è pur vero che vi sono stati altri casi di riduzione dell’export di vino italiano: addirittura nel 2003 e nel 2009 si sono registrati cali rispettivamente del 3,1% e 4,4% rispetto all’anno precedente. La verità è che, con la perdurante crisi dei consumi in atto in Italia, l’export è diventata la nostra ancora di salvezza, alla quale aggrapparsi in questa tempesta che non sembra finire mai.
Obiettivo 2020 – Resta da capire cosa occorre fare, nell’ambito di questo scenario di mercato, per raggiungere quei 7,5 miliardi di euro di export di vino annunciati come obiettivo per il settore dal premier Renzi all’ultimo Vinitaly. A valori nominali, all’appello mancano ancora 2,4 miliardi di euro che, se rapportati in termini di crescita media annua equivalgono, per il prossimo quinquennio, a tassi superiori al 6,5%. “Guardando a quanto accaduto nell’ultimo decennio, non si tratta di aumenti irraggiungibili” continua Pantini, “è chiaro però che occorre mettere in atto diverse strategie, tra cui quelle di riposizionamento anche qualitativo in grado di spuntare prezzi medi più elevati per i nostri vini”. A tale proposito basti pensare come dal 2007 al 2013 il prezzo medio all’export del vino italiano si sia apprezzato del 35%, passando da 1,83 a 2,47 euro/litro. Tale rivalutazione sottende, tra le altre cose, una riduzione dell’incidenza dello sfuso (sceso dal 33,6% al 28,5%) e un contestuale incremento del peso degli sparkling (dal 6,5% al 10,2%) e dei vini fermi (dal 59,9% al 61,3%) sui volumi totale dell’export. Se si ipotizzano, da qui al 2020, tassi analoghi di “sostituzione” nella tipologia dei vini esportati e di rivalutazione dei prezzi medi, l’obiettivo dei 7,5 miliardi di euro sembra avvicinarsi.
Quali sono le opportunità e le criticità che influiscono su questo possibile scenario? Nel primo caso, l’appeal del made in Italy e la svalutazione dell’euro possono darci una mano: si pensi infatti che i 2/3 delle esportazioni finiscono al di fuori dell’area euro e le previsioni di Goldman Sachs indicano un rapporto di parità euro/dollaro entro il 2017, contro l’attuale 1,25.
Criticità – Sul fronte delle criticità occorre invece ricordare come in molti mercati esteri l’Italia detenga ormai una quota di mercato significativa, rendendo più complicato prevedere dinamiche di crescita agli stessi ritmi dell’ultimo settennato. Su questo versante i casi sono due: o si amplia la presenza dei vini italiani nei mercati emergenti (l’export nei BRICS pesa per meno del 5%), o si allarga la platea delle imprese esportatrici. “Entrambe le direzioni di marcia richiedono però dimensioni competitive che molta parte delle nostre imprese vinicole non hanno rispetto ai competitor internazionali e, indubbiamente, i principali sforzi per raggiungere i 7,5 miliardi di euro di export, dovrebbero prioritariamente riguardare questo ambito di intervento”, conclude Pantini.