ROMA – Prosegue il viaggio di Agricultura.it alla scoperta dell’affascinante mondo del peperoncino piccante. Enzo Monaco, presidente dell’Accademia Italiana del Peperoncino (con sede a Diamante, Cs), parla – in esclusiva ad agricultura.it – dell’attuale momento di uno dei prodotti più tipici ed utilizzati come il peperoncino.
Siamo un paese di grandi consumatori, ma tranne qualche zona, se ne produce assai poco. Così lo importiamo da varie parti del mondo con pochi standard di sicurezza. Il problema maggiore è quello dei costi di produzione. Ma il piccante piace e ha molti benefici per la salute. Il consiglio di Monaco? Usare meno sale e più peperoncino piccante. E sull’Accademia, che ha da poco svolto il congresso nazionale a Matera, l’invito ad associarsi, anche per le aziende e ristoranti.
Presidente Monaco, come sta il peperoncino italiano?
Il peperoncino italiano non esiste. Voglio dire che non è significativa la produzione rispetto alle esigenze del mercato. Quel poco che esiste sta benissimo. Va a ruba fresco ed ha una bella vita quando è trasformato grazie alle creatività e alla fantasia degli artigiani made in Italy. Stanno malissimo i “peperoncinomani” italiani che devono consumare un prodotto di scarsa qualità e spesso dannoso alla salute.
Per il fabbisogno interno importiamo il 70% del prodotto dall’estero: da dove proviene e quanto è di qualità e sicuro il peperoncino che arriva in Italia?
È questo il problema. L’Italia importa oltre il 70 % del peperoncino che consuma. La maggior parte della polvere, che è il prodotto più usato, viene dall’India, dalla Turchia, da Israele e Malawi, un po’ anche dalla Spagna. Non è un prodotto di qualità perché le tecniche di coltivazione e di trasformazione di questi Paesi non offrono garanzie igienico-sanitarie. Per la polvere la sicurezza è zero, per la natura stessa del prodotto facilmente sofisticabile e per le tecniche di lavorazione che non sono quelle della tradizione italiana.
A quanto ammonta la produzione italiana, anche in termini economici, e quali sono le aree più importanti?
Un calcolo della produzione italiana è quasi impossibile. Non esistono in Italia coltivazioni intensive di peperoncino. La produzione maggiore si trova nelle regioni meridionali: Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Lazio e Sicilia. Confrontando i volumi produttivi si capisce che la produttività per ettaro è bassa visto che si tratta di coltivazioni di imprese familiari o artigianali con scarsa innovazione tecnologica. Dati ufficiali non esistono. L’Accademia ipotizza una produzione di almeno 700 mila quintali per un importo di oltre duecento milioni di euro.
Cosa manca al sistema produttivo italiano per essere competitivo e per aumentare la percentuale di fabbisogno interno? Esistono delle filiere produttive?
La produzione italiana soffre molto la concorrenza straniera. Un chilo di polvere di peperoncino straniero costa al massimo 4 euro. Per produrre un chilo di polvere in Calabria ci vogliono almeno 15 euro. Il divario è incolmabile. E per di più il consumatore non può distinguere i due prodotti. Secondo la normativa vigente c’è l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di confezione e non quello di produzione. La maggior parte delle grandi aziende che producono paste, sughi e salami utilizzano polvere di peperoncino proveniente dall’estero anche perché non riescono a reperire in Italia le quantità necessarie per le loro produzioni. Il sistema produttivo italiano avrebbe quindi bisogno di un marchio di qualità, di un ammodernamento delle tecniche di lavorazione e di filiere produttive. Eliminare il divario dei costi è impossibile. Sarebbe importante ridurlo e garantire la qualità.
E’ ipotizzabile una Igp del peperoncino calabrese?
L’Accademia, del peperoncino ha lavorato per un “Peperoncino di Calabria IGP” assieme alla Regione Calabria e al Ministero delle politiche agricole. Dopo otto anni però il riconoscimento non è ancora arrivato. Oggi come oggi però sarebbe meglio puntare su un marchio per il “Peperoncino italiano”. In questo momento infatti il problema principale è porre un freno all’importazione di peperoncino straniero, spesso di pessima qualità se non addirittura dannoso per la salute. L’Accademia si sta muovendo in questa direzione.
Quali sono insomma le principali problematiche del settore e le sfide da affrontare?
Le problematiche riguardano tutte la possibilità di abbassare i costi e garantire la qualità. Il resto verrà da sé perché il consumatore è sempre più esigente, curioso e consapevole.
Dall’altra parte sempre più consumatori in Italia sembrano amare il peperoncino piccante, e crescono gli hobbisti che se lo coltivano nell’orto di casa. Quali i motivi di questo trend? Perché il piccante piace?
È antipatico autoelogiarsi. È incontestabile però il lavoro che l’Accademia del peperoncino svolge da ventidue anni con convegni, pubblicazioni e soprattutto col lavoro di centinaia di volontari che operano nelle nostre novantadue “delegazioni accademiche” su tutto il territorio nazionale. Da anni viene promossa la cultura del peperoncino e da anni viene incentivata la coltivazione domestica del peperoncino. Abbiamo addirittura una pubblicazione periodica “Ortopic”, l’unica in Italia, che propone le schede delle varietà di peperoncino assieme ai semi e ai consigli per la coltivazione.
Alla domanda perché il piccante piace hanno cercato di dare risposta studiosi ed esperti di fama mondiale, visto che i due terzi dell’umanità lo consuma, ed è secondo, per diffusione, solo al sale marino. Con loro posso ripetere che il piccante insaporisce le pietanze, dà allegria alla tavola, fa bene alla salute e forse anche all’eros.
Quali sono le varietà più consumate in Italia? Quelle nostrane e quali quelle che vengono da altre parti del mondo?
Il consumatore è ogni giorno più curioso ed esigente. In Italia è molto richiesto il peperoncino calabrese. I buongustai preferiscono l’Habanero che viene dal Messico. È molto piccante ma anche profumato e aromatico. Gli estremisti vogliono il Naga Morich, il Naga Viper o il Carolina Reaper, assolutamente immangiabili per la loro piccantezza.
Accademia Italiana del Peperoncino: a fine anno congresso a Matera ed il suo grido d’allarme, per garantire un futuro all’associazione. Quali sono i principali problemi presidente e quali le azioni più urgenti da fare?
Come tutte le Associazioni, l’Accademia vive un momento di grossa difficoltà finanziaria che ne mette in forse la sopravvivenza. L’Associazione, per ventidue anni, è andata avanti solo ed esclusivamente grazie alle quote sociali dei suoi associati. La crisi economica li ha ridotti a meno di un terzo. Da qui i problemi. Nel congresso di Matera abbiamo analizzato i problemi e subito dopo abbiamo promosso una mega campagna di adesioni. Oltre agli Accademici adesso possono aderire anche ristoranti e aziende. Pagano solo cento euro all’anno e fanno parte di un circuito nazionale con la guida online “Italiapic” che presenta e promuove “tutto il piccante d’Italia”. Per risolvere i problemi ci vorrebbero molte adesioni. Chi vuole farlo può contattarci anche telefonicamente: 0985/81130.
Per concludere, un messaggio ai consumatori italiani….
Gli Italiani consumano in media 8-9 grammi di sale al giorno superando di molto la soglia di 5 grammi raccomandata dalla Organizzazione mondiale della sanità. Eliminiamo il sale che è la causa principale delle malattie cardiovascolari e sostituiamolo col peperoncino che fa bene alla salute. E mette allegria.
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