Non solo pomodori, pesche e nettarine, ma anche mais e uva: i cambiamenti climatici, con il progressivo aumento delle temperature e dei periodi di siccità, hanno effetti diretti sulle colture. E sempre più spesso stravolgono i calendari “classici” dell’agricoltura italiana. Lo afferma la Cia.Il problema, cioè, riguarda ovviamente l’immediato, ma non solo. Frutta e ortaggi -ricorda la Cia- subiscono danni più o meno gravi a causa delle temperature “africane”: dal colpo di calore, che dissecca porzioni della pianta provocando uno squilibrio idrico con effetti sullo sviluppo, alle scottature che colpiscono colletti e fusti delle giovani colture, alla spaccatura dei frutti. Senza contare che il caldo, accompagnato da un alto tasso di umidità, aumenta il rischio di attacchi parassitari e cresce anche il costo della “bolletta energetica” per mantenere i prodotti freschi nei magazzini di conservazione.
Inoltre, mentre restano a rischio le coltivazioni di mais e soia -continua la Cia- per colpa del gran caldo, nonostante gli impianti di ventilazione nelle stalle, la produzione di latte è calata di 5 o 6 litri al giorno. E le alte temperature di questi giorni rischiano anche di anticipare di molto l’invaiatura, ovvero la maturazione dei vigneti, e se l’invaiatura parte prima, anche i tempi della raccolta rischiano di essere molto anticipati.
Ma i danni dovuti a questa tropicalizzazione del clima, che il settore sta pagando sulla propria pelle, rientrano in una questione più ampia: non si tratta solo di cali di resa, ma di cicli di produzione che si sono ridotti e anticipati. In vent’anni ci sono stati cambiamenti significativi nell’anticipazione della raccolta -osserva la Cia-. In particolare nella stagione estiva, rispetto al trentennio 1960-1990, i cicli vegetativi si sono anticipati mediamente di 5-10 giorni al Nord e di 7-12 giorni al Centro-Sud, con punte in Sicilia di 15-20 giorni. E a risentirne di più sono proprio le coltivazioni dell’estate piena, con riduzioni e anticipazioni importanti ad esempio per uva da tavola e pesche. Ma uno spostamento costante si registra anche sulla vendemmia e sulla raccolta delle olive.
Ma a preoccupare di più è soprattutto la scarsità dell’apporto idrico. I lunghi periodi di assenza di precipitazioni, intervallati a temporali brevi e violenti, innescano fenomeni di dissesto idrogeologico: la siccità “impoverisce” il suolo rendendolo meno produttivo e sui terreni così stressati le piogge intense e improvvise non fanno che aggravare la situazione, provocando allagamenti e frane. Senza contare che i cambiamenti del clima -conclude la Cia- impongono di lavorare seriamente a una rete idrica realmente efficiente, con opere infrastrutturali per la manutenzione, il risparmio e il riciclo delle acque. Considerato che oggi lungo le tubature italiane si perde in media più di un litro su tre.