Una strage senza fine. Quindici pecore sgozzate e ventiquattro ferite in modo grave. E’ questo il bilancio dell’ultimo attacco di predatori a greggi in provincia di Grosseto. A farne le spese, questa volta, è un allevamento di Scansano (a cui si riferiscono le foto concesse dalla Cia Grosseto), condotto dal giovane Antonio Zizzi. Si tratta dell’ennesimo raid contro gli allevamenti in Maremma, dove se ne contano una media di due-tre ogni notte. Al mattino la macabra scoperta. E pensare che l’allevamento dell’azienda di Zizzi era perfettamente recintato, con otto cani da guardia e cartelli (installati con il progetto Life MedWolf) che indicano la loro presenza. Ma i predatori non si fanno intimidire dai cani da guardia. E tantomeno, come ironizzano in Maremma, sanno leggere i cartelli.
GRIDO DI DOLORE – «Non si può andare avanti così – sbotta Enrico Rabazzi, presidente della Cia di Grosseto – ogni giorno siamo a contare i danni di questo sterminio senza fine. Noi li chiamiamo predatori, che poi siano lupi, ibridi o cani selvatici fa poca differenza, dobbiamo eliminarli. In questo territorio – continua – è stata certificata, dalla Asl e dagli enti preposti, la presenza di lupi e di predatori di vario genere. Non ne possiamo più. Gli allevamenti chiudono e perdono quantitativi di prodotto in maniera esponenziale». Per ogni attacco al gregge, si contano decine di capi morti, ovvero migliaia di euro di danni per l’azienda colpita: «Ma oltre a subire ogni volta dai 3 ai 10 mila euro di danni per l’uccisione delle pecore – spiega Rabazzi –, abbiamo il danno ancora più grave, degli aborti, della mancata produzione di latte, del danno psicologico agli animali impauriti che calano la produzione. Uno fra i tanti esempi? Un’azienda che nei mesi scorsi aveva 400 pecore, oggi munge appena 20 capi. Cosa ci fa con quel latte? Niente. Questa è un’emergenza da cui bisogna uscire. I predatori sono stati portati dall’uomo, e l’uomo deve risolvere il problema. Ovvero la politica e le istituzioni».
ECONOMIA IN GINOCCHIO – Ci sono aree della Maremma in cui la pastorizia è l’unica attività agricola, e rappresenta tradizionalmente un fiore all’occhiello di un territorio che produce eccellenze agroalimentari. Il latte ovino e caprino con cui si producono profumati e apprezzati formaggi è però a rischio. Molti allevatori hanno già gettato la spugna. Non si sentono tutelati. Da Scansano a Manciano, dal Monte Labbro ad altre zone della provincia, la situazione è la stessa. E le conseguenze economiche sono devastanti: gli allevamenti chiudono, quelli che restano producono meno latte e così anche i caseifici della zona lavorano meno latte. Il risultato più evidente ed immediato è la perdita di posti di lavoro nei caseifici; e tutto l’indotto che ruota intorno al settore ovicaprino che è più consistente della pastorizia stessa, ne risente.
EMERGENZA TOSCANA – Oltre ai predatori ci sono gli ungulati che stanno imperversando in gran parte della Toscana. Secondo i dati forniti dalla Cia regionale, scorrazzano nelle campagne toscane oltre 500 mila ungulati, 20 cinghiali ogni 100 ettari mentre il Piano Faunistico Regionale ne prevede 0,5-5 capi per lo stesso territorio. Per ogni agricoltore ci sono 5 capi di ungulati, un carico quasi raddoppiato in cinque anni, con danni produttivi ormai incalcolabili, se si pensa che gli ATC hanno accertato oltre 10 milioni di euro di danni in 5 anni, a cui vanno aggiunti danni economici ed imprenditoriali molto superiori. Nelle scorse settimane, intanto, l’assessore regionale all’agricoltura Marco Remaschi ha presentato una ‘legge obiettivo’ per il contenimento degli animali che vuole, in tre anni, contenere sensibilmente il numero degli ungulati con interventi di riduzione della presenza almeno fra i vigneti, oliveti e seminativi. Gli agricoltori sperano che questa legge vada in porto in breve tempo. Sarebbe un primo passo importante. Senza dimenticarsi però dei predatori e del pecorino fatto con latte toscano, che sta scomparendo.
Lorenzo Benocci